L'ordinamento giuridico barbaricino
La vendetta come pratica sociale
Il codice barbaricino ha una storia radicata di consuetudini e usi propri di una popolazione volta all'uso comunitario delle terre, sentite di proprietà comunitaria ab origine rispetto alla nascita stessa del Regno d'Italia.
Dopo la proclamazione dell'unità del 17 marzo 1861, il problema cruciale per il governo consisteva nel disporre sulla destinazione degli ex demani feudali su cui gravavano gli usi civici esercitati dalla popolazione, consistenti nel diritto di pascolo, di coltivazione e legnatico.
L'abolizione dei diritti ademprivi, avvenuta con legge del 1865 che qualifica come reato contro il patrimonio demaniale l'uso collettivo delle terre, segna una profonda avversità della comunità pastorale verso la legge statale.
Il malcontento generale si era già delineato tra le genti con l'emanazione dell'Editto delle Chiudende emanato dal vicerè Carlo Felice con legge del 1820, che consentiva "a qualunque proprietario a liberamente chiudere di siepe, o di muro, vallar di fossa, qualunque suo terreno non soggetto a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana o d'abbeveratoio".
Autorizzava dunque la recinzione delle terre coltivate ai fini di agevolare una coltivazione razionale e regolare, in modo da evitare un qualsivoglia danno alla pastorizia. In un'economia pastorale in cui il libero pascolo delle greggi lungo le terre era un'istituzione, tali provvedimenti non hanno fatto altro che aumentare le possibilità di sviluppo dei contadini agiati verso una sempre più radicata proprietà privata a discapito dei piccoli agricoltori e pastori.
Tutto ciò portò al diffondersi di svariate lotte tra pastori e signori dello stato fino ai violenti moti de "su Connottu" (il conosciuto), esplosi a Nuoro nel 1868 quando pastori e contadini occuparono la sede comunale bruciando i registri catastali. Le grida dei promotori della rivolta miravano a ripristinare l'uso collettivo delle terre, a ritornare a su connottu, appunto, ovvero alle norme consuetudinarie già conosciute. In questo contesto storico e sociale di lotte e sommosse spesso scaturite in omicidi o devastazioni, prende sempre più spazio l'attuazione delle norme comportamentali, non scritte che si configurano come un vero e proprio ordinamento giuridico qualificate nel codice barbaricino.
La parallela sussistenza di due codici, l'uno legislativo nazionale e l'altro d'origine consuetudinaria fa si che quest'ultimo possa considerarsi illegale e contrario alle norme imperative dello Stato. L'azione sostitutiva, però, esercitata dal codice barbaricino, nasce proprio dalla sfiducia popolare insulare verso l'entità nazionale governativa vista sempre più come forza colonizzatrice.
Esso fornisce una serie di regole giuridiche accettate nel tacito consenso dalle genti espresso nella prassi comportamentale di conformità ad esso. Il codice prevede, nella sua delineazione di ordinamento giuridico, la vendetta come pratica sociale della comunità, non dell'individuo per l'offesa subita: "L'offesa deve essere vendicata.
Non è uomo d'onore chi si sottrae al dovere della vendetta..." stabilisce l'articolo 1 I Capo del codice, eccependo solo per causa del superiore motivo morale. Il soggetto che ha il diritto nonché dovere di vendicarsi è l'offeso, nessun'altro.
Qualificandola come "proporzionata, prudente o progressiva" (art.18, III Capo), il codice vede nella vendetta una misura reattiva all'offesa da esercitarsi entro certi limiti temporali e con mezzi , quali "tutte le azioni prevedute come offensive a condizione che siano condotte in modo da rendere lealmente manifesta la loro natura specifica" (art.19, III Capo).
Il codice, dunque, contiene norme comportamentali millenarie rivolte alla regolazione sociale, intesa in termini di ordine e convivenza, che considerano la vendetta come pratica comunitaria di reazione all'offesa subita. In altri termini la vendetta veniva a qualificarsi come giustizia di cui l'intera comunità si faceva carico.