L'ultimo bandito sardo
Enrico Costa racconta Giovanni Tolu
Era il lontano 1848 il cosiddetto anno delle "agognate riforme", che vide crollare il governo assoluto nella prospettiva dello stabilizzarsi di una civilizzazione più ferrea. Le difficoltà di attuazione di un tale obiettivo socio-politico si inasprirono sempre più con la strage dei Saba e dei Careddu (1850) e quella dei Saba e dei Macioccu (1851) fino all' epidemia di colera a Sassari nel 1855 che provocò più di cinquemila vittime, con conseguente attenuazione delle dispute sociali mosse dalle lotte politiche.
É in questo scenario a dir poco apocalittico che nel primo decennio del governo costituzionale (1849-1859) si svolse la storia di Giovanni Tolu, bandito non a causa di un' indole malvagia, ma perché determinato nella ribellione alle vessazioni subite.
La fierezza del carattere, la generosità cavalleresca, l'odio rivolto solo verso le spie e i nemici, nonché il ripudio del furto, delinea il tipico bandito sardo, figura ormai venuta meno nel panorama insulare. Secondo Enrico Costa il bandito sardo "non è un masnadiero, non è un brigante, non è un grassatore, non è un fabbro di ricatti".
Di virtù e rettitudine intellettuale sono dotati quegli uomini che non nascono feroci, ma lo diventano per sopravvivere, così come era stato per Giovanni Tolu, considerato dallo scrittore l'ultimo bandito sardo.
Nacque a Florinas, un villaggio di pastori e contadini, ereditando dal padre la dedizione al lavoro e il rispetto della parola data, valori che perseguirà anche durante la latitanza. Il suo primo grande dolore sarà la morte del padre al quale reagirà dedicandosi al lavoro di contadino e sorvegliante di due frantoi dando così sostentamento alla famiglia.
Causa della sua latitanza sarà però il rapporto con Prete Pittui, per via delle continue ingiustizie che dovette subire e che cominciarono quando Tolu, intervenuto a difesa del nipote del prete, sopraffatto da un uomo più audace, si rifiutò di ucciderlo. L'aggravante fu quindi l'amore profondo che Giovanni proverà per Maria Francesca, servetta in casa Pittui.
I due riuscirono a sposarsi senza che il prete se ne accorgesse, ma, quando venne a saperlo, istigò i genitori della sposa, ormai incinta, a riprenderla sotto il proprio tetto. La latitanza di Giovanni Tolu cominciò alla fine di dicembre del 1850 quando, scorto dall'uscio il prete mentre si recava in chiesa all'alba per dir messa, lo aggredì lasciandolo riverso in mezzo alla strada. L'onesto lavoratore che vantava un passato da sagrestano diventerà così bandito.
Da quel momento lo scenario del suo peregrinare divenne la Nurra, vasta area di pianure, ovili e terreni fertili dalla quale si allontanò verso luoghi dove trovare alleanze e protezione, ma nella quale ritornò nel 1856 dopo aver sconfitto il suo cacciatore di taglia Salvatore Moro travestito da latitante. Fu qui però che farà l'incontro della redenzione: in un giorno di luglio una bambina bionda gli andò incontro felice. Si trattava di Maria Antonia, la figlia avuta con Maria Francesca.
La sua nuova vita fatta di rettitudine cominciò così, per sospendersi, però, il 21 maggio 1859, quando Tolu reagì a un agguato che gli venne teso a Monte Rasu, in un ovile di proprietà di una conoscente. Quello fu l'ultimo sangue che sparse. La sua esistenza fatta di letture e nipoti, proseguì a Lèccari, luogo di vita matrimoniale della figlia, fino al suo arresto avvenuto il 22 settembre del 1880.
Il dibattimento di Corte d'Assise si aprì il 19 ottobre del 1882 durante il quale il bandito spiegò la sua latitanza causata dalla prepotenza e influenza del prete Pittui, poiché - secondo Tolu - "In Sardegna si manda la gente in galera per piccoli motivi. Non mi arresi alla giustizia perché la giustizia non è giusta". L'assoluzione avvenne tramite sentenza del seguente 21 ottobre. La comunità lo capì da subito, ora lo fece anche la legge. Giovanni Tolu nemico " dei tormentatori di donne o dei deboli" non nacque bandito per malvagità d'animo, lo diventò per ribellione all'ingiustizia.