Sergio Atzeni
Omaggio a uno scrittore identitario
Era il 6 settembre del 1995, una giornata calda d’estate. Sarebbe potuto e dovuto passare alla storia come un giorno qualunque.
Non fu così. In quel giorno la Sardegna perse uno dei suoi più grandi scrittori.
Se non fosse tragicamente annegato nel mare di Carloforte, oggi Sergio Atzeni, avrebbe sessantaquattro anni e avrebbe avuto ancora tanto da dire e da scrivere.
Giornalista prima che scrittore, Atzeni con la sua coerenza intellettuale, il suo rigore, la sua onestà, ha scritto pagine importanti, ha intrecciato bellissime storie e inventato lingue e personaggi.
Passavamo sulla terra leggeri, il suo ultimo romanzo, consegnato all’editore qualche giorno prima della sua morte, è una strepitosa rievocazione romanzata della storia della Sardegna, diventata un riferimento culturale e identitario per un intero popolo.
E non importa se nella narrazione di Atzeni, geografia e storia s’intrecciano non sempre correttamente, o se la lingua degli antichi sardi viene riproposta senza l'utilizzo di strumenti etimologici, bensì inventata, non importa se a raccontare sono per una volta i vinti, gli oppressi, i deboli, i miserabili della storia.
Sta proprio qui la grandezza di questo capolavoro: si rende l’elemento storico funzionale al romanzo, si cambia prospettiva, si mantiene la storiografia ufficiale ma la si depone su uno sfondo quasi invisibile e si parla per metafore, di miti, di una felicità appena intuita, di danze e di stelle e si ripercorre un lungo bellissimo viaggio con tante incognite e una consapevolezza nuova.
Atzeni ha scritto tanto altro. Oltre agli altri romanzi più famosi: L’apologo del giudice bandito, il figlio di Bakunìn, Il quinto passo è l’addio e Bellas Mariposas, non va dimenticato che scrisse anche opere teatrali, fiabe, testi poetici, racconti brevi e che collaborò con diversi quotidiani e riviste.
Mai nessuno scrittore prima di lui ne aveva decantato la sua brutale bellezza con uno slancio così eroico, con tale rabbia e passione, con tanta cruda dolcezza.
Padre guspinese, madre cagliaritana, Sergio nasce a Capoterra in un ambiente dove i genitori furono fortemente impegnati politicamente: il padre era un sindacalista e una figura di spicco del PCI sardo, la madre militante comunista e dirigente dell’Unione Donne Italiane.
Atzeni, fin da ragazzo, alla passione politica (che comunque ci fu), fece prevalere quella per la scrittura. Proprio attraverso i testi giovanili fatti di poesie e dei primi scritti giornalistici, s’intravedono gli elementi chiari di un lungo e costante apprendistato alla scrittura.
Dalla sua biografia emerge la parentesi di Orgosolo, nel 1964-65 e nel 1969, il ritorno a Cagliari, la profonda crisi esistenziale, il girovagare per Europa, l’approdo a Torino prima e in Emilia, poi.
E conoscendo Ruggero Gunale, protagonista de Il quinto passo è l’addio, sembra di vedere lo stesso Atzeni, trentacinquenne disincantato, salire su una nave, intento a portare a casa la pelle nell’eterna lotta di amore e odio con sua la città, quella Cagliari abbandonata ma portata nel cuore, che ancora oggi fatica incredibilmente a dedicargli una via.
Sergio Atzeni è stato il romanziere di una Sardegna che tanto è cambiata dalla sua morte e che ancora cambia, continuamente. Una terra che ha perso lo sguardo attento di chi sapeva viverla e descriverla.
Il suo innovativo modo di scrivere si sarebbe ben adattato a questa costante metamorfosi. Le sue parole, i suoi libri e la sua capacità di afferrare la realtà sono ancora oggi doni preziosi, per comprendere meglio ciò che siamo stati e sapere bene cosa vogliamo veramente essere.