Breve storia del Carnevale in Sardegna
Dai Saturnalia ai giorni nostri attraverso il Rinascimento
Certamente non è facile indagare sulle origini di una festa come il Carnevale, perché nessuno ha voluto o potuto conservare le tracce storiche.
Per quanto la derivazione etimologica è molto discussa, il termine Carnevale sembra risalire con molta probabilità al latino "carnem levare" ("eliminare la carne") che anticamente indicava il banchetto che si teneva l'ultimo giorno di carnevale (martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima. La stessa parola, quindi, pone l’accento sul carattere ribelle e sovversivo della festa.
Infatti il breve periodo del Carnevale si può definire come “periodo del caos”, del mondo alla rovescia, nel quale “il buffone può diventare re e viceversa” perché decade ogni tipo di gerarchia. Attraverso il mascheramento si esce dal quotidiano, ci si disfa dei propri ruoli e obblighi sociali e, negando se stessi, si può diventare chiunque altro. Le tensioni e i problemi della vita sono dimenticati temporaneamente, per essere ripristinate alla fine della festa. Da un punto di vista storico e religioso il carnevale rappresentò, dunque, un periodo di rinnovamento simbolico, durante il quale il caos sostituiva l'ordine costituito, che, però una volta esaurito il periodo festivo, riemergeva nuovo o rinnovato e garantito per un ciclo valido fino all'inizio del carnevale seguente.
Il Carnevale affonda le sue radici negli antichi riti pagani, in periodo storico anteriore al Cristianesimo. Era una festa con forti valenze simboliche legate al mondo agropastorale; con una particolare cerimonia in maschera, infatti, si salutava la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera, per ottenere l’opulenza e la fertilità della terra insieme a raccolti abbondanti.
Per i Romani una prima espressione del Carnevale furono i Saturnali, festeggiamenti in onore di Saturno, divinità italica dell’agricoltura. I Saturnali iniziavano il 17 dicembre e si protraevano per sette giorni durante i quali tutto era consentito (mangiare, bere, scherzare), ma in particolar modo era concesso lo scambio dei ruoli sociali e gli schiavi potevano considerarsi temporaneamente degli uomini liberi, e come questi potevano comportarsi.
Con l’avvento del Cristianesimo e la conseguente abolizione di tutte le feste pagane il Carnevale continuò ad essere celebrato; perse il suo contenuto magico e rituale e rimase semplicemente una forma di divertimento popolare. L’inizio fu variamente fissato il 1° gennaio, il 17 gennaio (Sant’Antonio Abate), il 2 febbraio (festa della Candelora).
In epoca medievale la festività del Carnevale era la forma di una seconda vita per il popolo, che entrava, anche se in maniera effimera, nel regno della libertà e dell’eguaglianza sociale. In realtà i comportamenti erano in un certo senso costrittivi, poiché era obbligatorio ridere e scatenare qualsiasi appetito, da quello alimentare a quello sessuale. Nelle feste popolari non ufficiali particolare rilievo assume il capovolgimento di valori (il materiale al posto dello spirituale, il basso al posto dell'alto, il ventre e il sesso al posto della testa, il comico al posto del serio, il popolo al posto dei potenti).
Oltre al carnevale propriamente detto, con tutte le sue azioni e processioni complicate che occupavano per giorni interi le piazze e le strade, si celebrava la «festa dei folli» (festa stultorum) e la «festa dell'asino»; ed esisteva anche uno speciale «riso pasquale» (risus paschalis ) libero, consacrato dalla tradizione. Inoltre, quasi tutte le feste religiose avevano un loro aspetto comico, pubblico e popolare, anch'esso consacrato dalla tradizione.
Questo era il caso, per esempio, delle «feste del tempio», accompagnate di solito da fiere, con il loro apparato ricco e vario di divertimenti pubblici (vi si esibivano giganti, nani, mostri, bestie «sapienti»). Nel tardo Medioevo si diffuse il travestimento nei carnevali cittadini. Il mascherarsi permetteva così lo scambio dei ruoli, il burlarsi delle gerarchie sociali, la caricatura dei vizi e dei malcostumi. Quelle stesse maschere sono poi diventate il simbolo di città e delle debolezze umane. Nel Rinascimento i festeggiamenti carnevaleschi furono introdotti anche nelle corti europee ed assunsero forme più raffinate, legate anche al teatro, alla danza e alla musica. In Italia la festa carnevalesca raggiungerà il massimo splendore nel XVI secolo, nella Firenze di Lorenzo dei Medici, con lunghe sfilate di carri allegorici, costumi sfarzosi, danze e canti carnascialeschi (canzoni a ballo), tra cui, il più celebre fu Il trionfo di Bacco e Arianna, scritto proprio da Lorenzo dei Medici.
Il viaggio nella storia ricchissima e complessa degli usi e costumi della Sardegna porta molto lontano nel tempo e anche il nostro Carnevale ha delle analogie con i Saturnali romani o con i più antichi culti agro-pastorali.
Nella nostra isola si può assistere a differenti manifestazioni dei Carnevali, egualmente affascinanti e piene di significato. A Bosa, Ottana, Orani e Mamoiada il tipico Carnevale barbaricino è triste, cupo e, per alcuni aspetti, “tragico e grottesco” con le sue ancestrali maschere antropomorfe e zoomorfe, le vesti di pelli di capra, orbace e campanacci che rievocano riti misteriosi, danze propiziatorie e un rapporto stretto, quasi viscerale, tra uomo e animale. Il Carnevale barbaricino è profondamente legato al sistema economico e sociale della civiltà agropastorale di cui è specchio.
La vita del pastore transumante e per mesi isolato dalla comunità con il suo gregge ha determinato la vera essenza delle manifestazioni carnevalesche: esorcizzare il rischio che l’individuo potesse perdere la propria “umanità” trasformandosi definitivamente in bestia.
Nell’Oristanese le esibizioni equestri, giostre e pali, costituiscono generalmente il fulcro della festa e sono volte a propiziare il raccolto dell’anno o ad esibire i valori di coraggio e di destrezza dei cavalieri Sa carrela ‘e nanti di Santulussurgiu, la Sartiglia di Oristano. In altre località dell’Isola troviamo, invece, le tradizionali e irriverenti sfilate di carri e maschere del Carnevale allegorico, la cui fine è decretata dalla morte del Re del Carnevale (Re Giorgio a Tempio Pausania, Cancioffali a Cagliari, Gioldzi a Bosa e nel nord Sardegna, Maimone in Ogliastra).
La festa conserva spesso il ricordo di riti arcaici di fine d’anno, quest’ultimo rappresentato dal fantoccio di pezza che è processato, condannato al rogo e pianto con un ridicolo lamento funebre.
Il 16 e il 17 gennaio in moltissimi paesi della Sardegna si festeggia Sant’Antonio Abate, la cui notte è illuminata dai tradizionali fuochi. A partire dalla vigilia, e per l'intera giornata della festa, tutta la popolazione, giovani e meno giovani, partecipa alla raccolta della legna, che è portata nella piazza principale del paese a formare un’enorme catasta.
Per la sua suggestione si segnala il rito della raccolta della legna che si svolge a Ottana: tutto il paese è coinvolto e i camion carichi di legna sono accompagnati da diverse macchine, le quali al suono dei clacson guidano il particolare corteo alla piazza San Nicola, dove divamperà il falò notturno.
In chiesa si celebra la Santa Messa in onore a Sant’Antonio Abate, al termine della quale, seguito dal sacerdote e da una nutrita folla di fedeli, il simulacro del Santo è portato in processione nella piazza, dove gli saranno fatti fare tre giri intorno al fuoco per essere riportato infine in chiesa. In questo momento ha fine la dimensione più propriamente religiosa e iniziano i festeggiamenti pagani con la prima uscita delle maschere (Sos Boes, Sos Merdùles, Sa Filonzana). Fino a tarda notte si balla e si canta intorno al fuoco.