Giovanni Corbeddu Salis
Ritratto di un bandito leggendario
Giovanni Corbeddu Salis è stato uno dei più celebri banditi sardi di fine Ottocento. Se ci fermassimo ad analizzare rapidamente il suo curriculum criminale, ci troveremo a dover condannare con ribrezzo e senza mezzi termini, tanta efferatezza e ferocia. Ma il “Re della macchia”, come veniva soprannominato dai suoi compaesani, ha connotati e caratteristiche che lo discostano dal classico famigerato bandito sanguinario. É necessario guardare più a fondo. Ed è quello che faremo.
Sul bandito Corbeddu pendevano le più disparate accuse che andavano da furti, danneggiamenti, estorsioni, fino alle rapine, alle violenze e agli omicidi. Una condanna alla pena di morte e una all’ergastolo, una taglia di ottomila lire e ben dodici mandati di cattura.
Corbeddu, nato a Oliena nel 1844, è stato uno dei più noti fuorilegge sardi dell’epoca. La sua vita fu segnata da una scelta tragica (che ne contraddistinse inequivocabilmente il destino), da gesti eclatanti, atti criminali, azioni pacifiche e inaspettate. Una latitanza che durò ben diciotto anni, una grotta che porta il suo nome, il ruolo di saggio attribuitogli dal popolo nelle controversie, che ricoprì negli ultimi anni della sua vita, e quel senso di muto rispetto che ancora oggi la sua figura inevitabilmente incute.
La vita di Giovanni Corbeddu cambiò drasticamente intorno ai trentacinque anni. Fino ad allora visse una vita semplice e anonima. A cambiare questo equilibrio fu un’accusa mossa contro di lui per il furto di un capo di bestiame. Tralasciando la veridicità di tale accusa, (probabilmente infondata) resta il segno indelebile che essa lasciò.
Per questo fatto, nella mente del Corbeddu non c’era spazio per la redenzione, la confessione, il pentimento, la giustificazione. La semplice accusa si portava dietro un carico mortale.
L’unica risposta era la ribellione, la fuga, con la consapevolezza che se voleva giustizia, doveva cercarsela da sé.
Si rifugiò in un’angusta grotta, sbarrata da un masso che il bandito allorché braccato dalle forze dell’ordine, spostava e una volta calatosi nel cunicolo, riposizionava esattamente, in modo da non poter mai far destare il sospetto che codesta angusta strettoia immettesse nel suo nascondiglio che per anni non fu mai scoperto.
Questo luogo che divenne la sua abitazione durante la latitanza, oggi si chiama “Grotta Corbeddu”e rappresenta ad unanimità una delle cavità più ricche di fascino e più importanti da un punto di vista archeologico di tutto il Supramonte.
A far crescere in maniera esponenziale la fama del bandito furono essenzialmente due vicende.
La prima fu la rapina ai danni del comandante della divisione dei carabinieri reali di Sassari, Michele Angelo Giorgio Spada che si era vantato di aver debellato il banditismo dal nuorese facendo costituire un paio di latitanti minori. Alla promessa di una ricompensa il comandante applicò invece una pena molto severa. I parenti delle “vittime” si rivolsero a Corbeddu che nel giro di poco tempo compì, con l’aiuto di qualche complice uneclatante assalto alla diligenza che trasportava il comandante, che fu a quel punto rapinato e lasciato in mutande. Il messaggio del bandito fu chiaro.
A questa goliardica azione, un paio di anni dopo, Corbeddu ne compì una seconda che gli valse la fama che attualmente ha. Nell’estate del 1894, nelle campagne tra Seulo e Aritzo ci fu il rapimento di due commercianti francesi, Louis Jules Paty e Regis Pral, sequestrati a scopo di estorsione da una banda di criminali che operava in quella zona. Inutili le ricerche da parte dei carabinieri. I boschi e la macchia sarda erano un labirinto inestricabile per loro. Ci voleva altro per venire a capo della faccenda e visto che la cosa stava andando per le lunghe il sottoprefetto decise di rivolgersi a Corbeddu. Il bandito di Oliena intervenne facendo valere il grande ascendente che aveva nei confronti degli altri banditi. In poco tempo i commercianti francesi furono liberati.
Come compenso gli fu proposta una cospicua somma di denaro, (ventimila lire, cifra altissima per l’epoca) che lui, “da uomo d’onore” rifiutò sdegnosamente. La soddisfazione di erigersi a difensore degli oppressi, dichiarando di essere riuscito laddove ministri, prefetti e carabinieri avevano fallito, non poteva aver alcun prezzo.
Gli fu concesso a quel punto un salvacondotto per cui poté girare indisturbato per le vie di Oliena per dieci giorni. Lo sgomento e lo stupore dei compaesani fu incredibile. Il bandito più temuto e rispettato del circondario, la cui fama iniziava a espandersi in tutta l’isola, attraversava le vie del suo paese, tranquillamente, senza che nessuno potesse catturarlo.
A Corbeddu furono imputati tanti delitti, il più delle volte senza che vi fosse una prova, perché è risaputo che i latitanti in Sardegna rappresentarono un coperchio buono per tutte le pentole.
Resta il fatto che più di una testimonianza giurò sul suo valore e sulle sue qualità: un uomo che non mancava mai alla parola data, che raccomandava ai propri compagni di non infierire sulle vittime senza averne accertato prima la colpevolezza, che ripudiava il delitto per commissione, disprezzava il denaro e malediceva i poteri forti.
La tesi ufficiale sulla sua morte lo vede soccombere per mano di un ufficiale, Aventino Moretti, che lo uccise al termine di un conflitto a fuoco tra la banda del latitante e i carabinieri di Oliena e Orgosolo, il 3 settembre del 1898.
Questa è la versione ufficiale dell’arma, stracarica di dettagli. Tale tesiperò contrastò da subito con l’interpretazione di alcuni olianesi, secondo i quali Corbeddu sarebbe stato avvelenato da un traditore e poi consegnato ai militari che simularono a quel punto il conflitto a fuoco, si dice, per accrescere il loro valore e il loro prestigio.
Il dubbio aleggia, come ogni storia, proprio sul finale e sull’epilogo del famigerato bandito inevitabilmente attecchisce il fascino del mistero, perché anche la morte reclama la sua parte.
Un giorno forse si farà chiarezza su questo arcano, e ancora si dispenseranno in egual misuraombre e luci, proiettate sulla figura di Giovanni Corbeddu Salis, il “Re della macchia”, “l’aquila della montagna” il bandito-eroe, o più semplicemente “Tziu Corveddu”, il ritratto di un uomo la cui vita fu cambiata e stravolta per sempre, dopo l’(ingiusta) accusa del furto di un capo di bestiame.