Paska Devaddis
Ricordo malinconico di una banditessa
“Paska Devaddis era come noi, né bella né brutta, né avvocato né poeta. Paska è andata in alto con la morte, quando fu trovata e composta nella sua casa vuota. Tutto il paese andò a vederla”. [...] “ma era già un’ombra, un viso inventato dalle candele che la circondavano”.
Questo piccolo frammento di dialogo è estrapolato da “Paska Devaddis – Tre radiodrammi per un teatro dei sardi”, di Michelangelo Pira.
Così lo ricordano quelle voci guidate dalla penna del grande antropologo di Bitti.
Tra le figure banditesche sarde, quella di Paska Devaddis assume un ruolo preponderante. Il bandito è una figura prettamente maschile. La donna, per la sua natura, difficilmente può diventare banditessa. Troppi fattori e cause, troppe ragioni e motivazioni irrimediabilmente contrastanti. É un mondo dominato dall’uomo. Il banditismo è “cosa da uomini”. La donna accetta, si dispera ed entra in scena solo nel momento del lutto. Per Paska però non fu così.
Ma chi fu realmente Paska Devaddis? E perché è entrata di diritto nella storia del banditismo sardo?
La sua gracile figura di giovane donna compare all’interno della famigerata faida di Orgosolo, tra le famiglie rivali dei Cossu e dei Corraine e le altre famiglie alleate tra cui vi fu quella dei Devaddis. Una disamistade (inimicizia) che ebbe grande spazio e risonanza nella cronaca dei giornali e nell’opinione pubblica, valicando i confini del piccolo centro di Orgosolo.
Tralasciando le cause, le premesse, le accuse e le morti di questa disamistade, (ci preme ricordare solo che ebbe ufficialmente inizio il 3 aprile del 1905 con l’uccisione di Carmine Corraine, anche se vi furono altri fatti antecedenti propedeutici)ci concentreremo sulla figura di Paska e sui motivi del suo coinvolgimento.
Nel 1905 Paska era solo una fanciulla e mai avrebbe potuto immaginare di far parte un giorno, di una disamistade.
Iniziamo col dire che Paska non era la bandita forte, selvaggia e spietata che sgroppava a cavallo col capo fiero e l’aria possente. Questa figura che certa stampa dell’epoca (siamo nel 1917), tentò di dipingere, era ben lontana dalla realtà.
Paska era una ragazza esile, debole e malata, la cui figura non era per nulla adatta alla durezza della vita nella macchia. Non le mancava il coraggio ma attraverso i suoi occhi trapelava una disperata malinconia.
Importante e degno di nota è il ritratto che di lei fece Anna Tilocca Segreti nel Vol. 8 della Biblioteca Nuova Sardegna: Banditi & Carabinieri. Qui si ripercorre con dovizia di dettagli tutta la vicenda della giovane e della grande faida di Orgosolo.Sono tanti gli aneddoti e i segreti checontraddistinsero la tragica figura di Paska. La storia del suo ritrovamento, il suo corpo trasportato nella notte fino alla sua casa deserta di Orgosolo, la sua verginità, il suo coraggio, il suo amore, la sua disperazione, la sua solitudine.
Emerge chiaramente un profilo che stona con la brutalità e la durezza della vita del latitante, dove non c’è spazio per il sentimento, per il rimorso, per l’autocommiserazione, per le lacrime.
Ai tempi dell’inizio della faida, come detto, Paska era una bambina. Con gli anni cominciaronoa susseguirsi le uccisioni e aumentarono le vittime nei ranghi delle rispettive fazioni rivali. Incredula e sgomenta Paska assisteva a tutto ciò. Un bel giorno uccisero Antonio Succu, appartenente a una famiglia nemica e accusarono il fratello della ragazzadel crimine. Qualcuno giurò di aver visto anche Paska aggirarsi nel luogo del delitto. Ella fu innocente, così come il fratello, ma in seguito all’emissione di un mandato di cattura non ebbe altra scelta che darsi alla latitanza.
Una semplice accusa e Paska di colpo passò da una vita scandita dai lavori domestici in una famiglia abbastanza agiata, a una terribile e violenta latitanza, costretta a condividere scorribande, fatiche e patimenti con gli altri banditi.
Ben presto il suo corpo cedette. L’asprezza della Barbagia, coi suoi monti impervi, i suoi boschi impenetrabili, le sue grotte e i suoi anfratti irraggiungibili, si rivelò fatale per la ragazza che perì giovanissima. Dal referto medico risulterà che morì per tubercolosi.
Si sono scritte pagine molto belle sulla morte di Paska; su tutte questo piccolo pezzo tratto dal bellissimo libro “Banditi di Sardegna”, di Franco Fresi. “Supina, adagiata su una lettiga di frasche in fondo alla caverna di roccia non avvertiva neppure il calore del fuoco acceso in un angolo e si sentiva addosso tutto il freddo della notte. Le fiamme che non riuscivano a riscaldarla erano il rogo della sua giovinezza” […] gli occhi si chiusero senza che una mano pietosa ne accarezzasse le palpebre […] i sei banditi si fermarono davanti alla porta di Paska. Non ci fu bisogno di bussare”.
Paska fu portata dentro e adagiata su un tavolo. Le misero addosso il costume da sposa; macabro disegno del destino, che la vide rivestita a festa proprio il giorno della morte. Un vestito stupendo che non aveva mai potuto indossare prima e un matrimonio solo immaginato. Coraggio, ribellione innata e una vita spezzata troppo presto, e proprio per questo pronta per entrare di diritto nella leggenda.
La donna-bandito avvolta nel già rigido novembre orgolese che reclamò la sua vita, ancora oggi si trova in bilico tra chi la considera una temibile latitante e chi la vede invece come una delle tante vittime innocenti di quell’odio.
In ogni caso il suo ricordo deve restare e resterà un ricordo leggendario.
In questa triste vicenda di sangue, tra i lutti, lo sfacelo, la crudeltà, la vendetta e il tormento di tutte queste famiglie, a brillare in un modo o nell’altro,resta solo la sua immagine. Il viso malinconico di questa giovane soffocato nella sua vitalità, con gli occhi ancora lucenti, col suo bel fazzoletto a coprirle il capo e a nasconderle le labbra, quello stesso fazzoletto che, parafrasando il Pira, “tagliava a triangolo anche le facce di luna piena”.