La magia delle Janas
La piccola jana Mariedda alla scoperta dell'uomo
Al di là delle colline dell'isola Vagante giacciono scalfite nella roccia o nel granito, le case fatate, che aprono le porte dell'incantevole mondo di piccole creature dalla luce diffusa, stanti in bilico tra sogno e realtà e che comunemente nell'immaginario sardo sono chiamate Janas.
Vengono da un mondo lontano, in cui la primavera vige costante poiché l'isola natia delle misteriose e fantastiche fatine è in perpetuo movimento, alla ricerca dell'auspicata stagione che rende grazia alla loro maestosa luminosità.
La ciclica esistenza primaverile volutamente realizzata da coloro che di luce vivono, ha comportato nel corso dei secoli infiniti, lo spostamento del popolo fatato tale da meritarsi l'appellativo delle genti dell'Isola Vacante. Ma, la beata stabilità del vivere magico, seppur in un movimento ultraterreno, ben presto finì a causa dell'eruzione dell'unico vulcano insulare sospeso tra i flutti, ai piedi del quale le Fate con le loro caratteristiche unghie, avevano intagliato le loro magiche case nella roccia.
L'avvenimento destò sconcerto e disperazione tra le incredibili abitanti alate tanto da condurle all'ennesimo trasferimento. Ma, stavolta, qualcosa cambiò poiché laddove i posti utopistici saranno la loro futura dimora, esse troveranno altri luoghi in cui manifestarsi e regalare allegria in sintonia con le loro delicate ali, sintomatiche dello stato d'animo avuto in un preciso momento.
Questi posti datati nel tempo, ma attuali storicamente, saranno i nuraghi, i menhir, le grotte o i vari manti rocciosi del magnifico e altrettanto misterioso territorio sardo, su cui le Janas scavano le loro dimore, le Domus de Janas, per il sol mezzo delle loro unghie d'acciaio capaci di incidere sui materiali naturali più massicci, ma al contempo dotate di mani sottili e delicate tali da deturparsi semplicemente urtando contro le foglie.
Uno dei loro villaggi si dirama nella sommità del colle di Montoe, presso Pozzomaggiore, nel logudorese, in cui vivevano le sorelle delle "malas janas" di Tonara, che ben poco avevano di malvagio se non la dote specifica di restituire per cento volte il male ricevuto.
Passavano le notti a tessere per creare magnifici abiti di lino e broccato, ineguagliabili arazzi tipici della cultura sarda che difficilmente possono dimenticarsi dopo averli osservati.
Ne danno riprova gli uomini che in una notte di festa, tra danze e canti generati dal suono evocativo delle launeddas, vennero folgorati dalla presenza di una donna dagli occhi argentei e i capelli azzurri che gentilmente li invita a continuare i loro festeggiamenti, con l'unica eccezione di parteciparvi.
Così fu e la Jana Mariedda, sotto le vesti di una giovane forestiera iniziò a ballare su ballu tundu e di passo in passo, senza accorgersene, venne derubata delle preziosità di cui si componeva sia il suo scialle e che l'abito indossato, ossia, i fili d'argento e i bottoni di oro filigranato, tessuti nelle notti passate con le sue sorelle di Montoe, le quali telepaticamente l'avvisarono di quanto stava accadendo.
La sua furia si scagliò contro gli uomini del mondo reale, la cui conoscenza era per lei un' interessante scoperta fino a quel momento, quando maledisse il gesto trasformando i beni preziosi in pietre e paglia.
E, dal giorno, la ricchezza a Montoe non è un dono per l'uomo della terra.
La jana Mariedda, divenuta volpe, si aggirò poi all'interno dell'oscura pianura boschiva dove, dopo aver pietrificato un uomo che tentò di ucciderla convinto fosse un particolare genere animale, incontrò una bimba dai capelli neri e canto soave che, china in un ruscello lavava i panni dei prinzipales del paese, pur di guadagnare da vivere per sé e la sua famiglia.
L'animo nobile della piccola fanciulla, che la curò dopo essersi ferita con una tagliola lasciata lì dai cacciatori, colpì la Jana che la graziò restituendole il bene fattole per cento volte e invitandola nel suo villaggio, luogo in cui la piccola bimba imparò a tessere i caratteristici abiti sardi in cambio di allietare le giornate delle benefiche janas con i suoi canti melodiosi.
Grazie all'arte del telaio la fanciulla non dovette più lavorare di notte, ma la fortuna fu reciproca poiché la jana Mariedda, desiderosa di scoprire l'umano, capì quanto sia illuminante affidarsi alle piccole mani di chi, a differenza degli adulti, sa ancora credere nel fatato mondo della natura, i bambini.
In realtà, nel mondo umano, di chi "il fanciullino" forse l'ha, se non taciuto per sempre, perlomeno nascosto, le fate e la loro magia vivono solo tra le parole chimeriche della tradizione popolare, lungi dal considerare le Domus de janas, case delle fate, ma tombe ipogeiche di epoca neolitica, spesso raggruppate in necropoli contenenti fino a quaranta sepolcri, in cui probabilmente sono ricollegabili rituali esoterici consacranti la Dea Madre, centrale e culminante figura femminile dell'isola, simbolo di fertilità e amore per la natura.
Niente di più benevolo, a discapito di coloro che intendono vanificare le leggendarie tradizioni riguardanti le piccole creature dalle ali magiche e non più alte di un palmo di una mano, che a protezione della loro delicata carnagione escono solo la notte, per regalare un briciolo di chimerica follia a chi guarda ancora il mondo con gli occhi di un bambino.