Certamente non è facile indagare sulle origini di una festa come il Carnevale, perché nessuno ha voluto o potuto conservare le tracce storiche.
Per quanto la derivazione etimologica è molto discussa, il termine Carnevale sembra risalire con molta probabilità al latino "carnem levare" ("eliminare la carne") che anticamente indicava il banchetto che si teneva l'ultimo giorno di carnevale (martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima. La stessa parola, quindi, pone l’accento sul carattere ribelle e sovversivo della festa.
Infatti il breve periodo del Carnevale si può definire come “periodo del caos”, del mondo alla rovescia, nel quale “il buffone può diventare re e viceversa” perché decade ogni tipo di gerarchia. Attraverso il mascheramento si esce dal quotidiano, ci si disfa dei propri ruoli e obblighi sociali e, negando se stessi, si può diventare chiunque altro. Le tensioni e i problemi della vita sono dimenticati temporaneamente, per essere ripristinate alla fine della festa. Da un punto di vista storico e religioso il carnevale rappresentò, dunque, un periodo di rinnovamento simbolico, durante il quale il caos sostituiva l'ordine costituito, che, però una volta esaurito il periodo festivo, riemergeva nuovo o rinnovato e garantito per un ciclo valido fino all'inizio del carnevale seguente.
Ad animare le strade di Gavoi nei giorni di carnevale ci sono Sos Tumbarinos, i tamburini.
Sos Tumbarinos suonano all’impazzata dei tamburi realizzati con pelli di pecora e sono accompagnati da altri strumenti come triangoli e zufoli di canna.
Il Carrasegare Osincu è il carnevale unico nel genere in Sardegna per la sua letteraria e consuetudinaria caratteristica goliardica.
Bosa diventa il palcoscenico carnevalesco per eccellenza in cui si alternano satira e ironia, in netta contrapposizione con gli altri tradizionali carnevali sardi intrisi di un’innata tragicità.
Il termine definitorio la festa invernale è indicativo dei suoi giorni più importanti, quali la domenica, il lunedì e il martedì.
La settimana precedente il giovedì grasso inaugura l’inizio della festività prettamente ludica, volta al riso e al divertimento dell’intera comunità, la quale si sente totalmente coinvolta nella preparazione e svolgimento delle formali rappresentazioni sceniche carnevalesche.
Su Battileddu, il pazzo, la vittima sacrificale. Il termine “battile” sta ad indicare infatti una persana inutile e incapace.
Il rito arcaico del carnevale di Lula prevedeva in un lontano passato il sacrifico di una vittima in carne ed ossa.
Oggi su Battileddu porta pelli di montone, ha il volto dipinto di nero e la bocca di rosso, portando sul dorso alcuni grossi campanacci.
Gennaio è certamente il punto di partenza del periodo carnevalesco; è il momento esatto che segna tale inizio. In Sardegna, terra di folklore e tradizioni, i vari paesi e le varie città offrono un museo a cielo aperto di costumi tipici della festa. Ciascuno garantisce colore e fantasia nella rappresentazione degli abiti tipici della propria zona, ma alcuni costituiscono il top della particolarità e dell’unicità.
Tra questi primeggia Sarule, paese in provincia di Nuoro, il cui costume femminile caratterizzante, la Maschera a Gattu, è davvero singolare, perché ha come simbolo principale l’eleganza che è riversata soprattutto nella maschera applicata sul capo. Si tratta, infatti, di un velo in pizzo nero posto sul volto, di una copertina bianca in tela sulla testa e di una fascia rossa, che blocca la copertina sovrastante.
Una delle maschere più misteriose e interessanti dell’intero carnevale sardo è quella de su Bundu. Tutto il carnevale di Orani è incentrato attorno a questa figura.
su Bundu è facile da riconoscere. Classico abbigliamento da contadino col pesante gabbano invernale sotto il quale indossa camicia e corpetto, infine pantaloni di velluto e classici
gambali.
Is Xerbus o Is Cerbus è un’antica tradizione sinnaese immutata nel corso degli anni a partire dal 1800 sino ai giorni nostri. Le recite carnevalesche della Sardegna hanno origini precristiane, così come il carnevale sinnaese, anticamente denominato “segàrepezza” (tagliare carne) in riferimento etimologico alla consuetudine delle genti di macellare e mangiare la carne in quantità maggiori.
A Sinnai il Carnevale si differenzia per la particolarità di svolgimento della ricorrenza, molto attesa da piccoli e adulti in quanto rappresentante un momento di comunione paesana. Il giorno d’apertura è il giovedì grasso o, anche detto, “sa giobia de lardajolu”, in riferimento all’usanza della consumazione del lardo seguita, durante le ore serali, da “is mascheras de cuaddu”, la corsa dei puledri attraverso le vie del paese.
A Laconi c’è una tradizione carnevalesca molto viva e profonda, incentrata su una maschera che in passato è caduta nell’oblio e che di recente è stata riscoperta.
Fino agli anni trenta del secolo scorso “is corongiaus” facevano la loro prima uscita la sera della Festa di Sant’Antonio, il 16 gennaio, come tutte le maschere barbaricine, animando il carnevale laconese con le loro danze ed il loro antico rituale.
Dal 1935 la maschera è misteriosamente scomparsa. Sono pertanto oscure le ragioni di un oblio lungo ottant’anni. Tant’è, infatti, il lasso di tempo durante il quale su corongiaiu è rimasto nell’ombra, col rischio di comprometterne perfino il suo ricordo.
Ma questa maschera legata all’antichissima tradizione laconese non poteva cadere nel dimenticatoio per sempre, e così, qualche anno fa, grazie all’impegno e alla dedizione di un gruppo di giovani, la maschera è tornata prepotentemente alla ribalta.
Avevo sempre sentito parlare della Sartiglia di Oristano e a volte mi capitava di seguirla distrattamente in tv, ma non avevo mai assistito ad una sola delle due giornate nelle quali si tiene ogni anno. Finché, circa cinque anni fa, un'amica fotografa dalla grande sensibilità, innamorata di Sartiglia, mi invitò a fare l’esperienza.
Perché di un’esperienza si tratta, di un’emozione speciale. Era domenica, giornata dedicata al Gremio dei Contadini e fu un colpo di fulmine.
Totalmente ammaliato da così abbondante bellezza, dalle maschere talvolta inquietanti e misteriose, dai vestiti multicolori dei cavalieri e delle cavaliere, il rosso acceso, le candide camicie ricamate ornate d’oro brillante, il nero-vellutato dei costumi, quasi un tutt’uno coi cavalli dal manto lucido, imponenti, eleganti, pronti allo scatto della competizione.
Tutta la magia della Sartiglia mi conquistò. E oggi, ogni volta che finisce, sento dentro di me un pizzico di malinconia, perché vorrei che non finisse mai e, mentre le ultime pariglie acrobatiche scendono a rotta di collo, allegre, traboccanti giovinezza e freschezza dei cavalieri, ho già nostalgia.
Sul versante orientale della sub-regione storica del Montiferru, sorge Santu Lussurgiu, grazioso comune dal bellissimo centro storico in cui si è conservato un antico acciottolato che costituisce una delle peculiarità più importanti del borgo. Ma il paese di Santu Lussurgiu, è famoso soprattutto per Sa Carrela ‘e nanti.
Letteralmente traducibile con “la strada davanti”. Stiamo parlando di una delle corse a cavallo più spericolate, difficili, temerarie ed affascinanti che si corrono in Sardegna, diventata col tempo una tappa imperdibile per gli amanti delle corse e del carnevale tradizionale sardo.
É una manifestazione molto antica e di straordinaria partecipazione di pubblico che insieme alla Sartiglia di Oristano e all’Ardia di Sedilo, rappresenta una delle più profonde ricorrenze del folclore sardo all’interno dell’indissolubile binomio uomo-cavallo.
A dare il nome all’evento è la tortuosa “Carrela ‘e nanti”, l’attuale Via Roma, nel centro storico del paese. Questa strada negli ultimi tre giorni del Carnevale diventa il percorso attraverso il quale piombano le spericolate pariglie, composte da due, tre o quattro cavalli che si lanciano al galoppo lungo la via gremita di folla ad ambo i lati.
A Ortueri le due maschere attorno alle quali si svolge il carnevale sono s’Urtzu e is Sonaggios.
S’Urtzu, l’orco indemoniato, rappresenta la tipica maschera animalesca.
Il 7 e il 9 febbraio a Oristano si svolgerà sa Sartiglia. Questa festa di origini spagnolesche, è una giostra spericolata in cui i partecipanti, su cavalli lanciati a briglia sciolta, devono centrare la stella sospesa a mezz’aria e sistemata lungo il tortuoso percorso di una via del centro cittadino.
Ma sa Sartiglia è molto più di questo: è uno spettacolo dal fascino particolare a metà tra la religiosità cristiana e la magia pagana. Il protagonista della festa è su Componidori, abile cavaliere scelto dai Gremi (associazioni di arti e mestieri) per impersonare una specie di semidio da cui dipende l’andamento del raccolto: se egli riuscirà ad infilare la stella la terra darà buoni frutti, se fallirà ci si dovrà attendere un’annata magra.
Tutto in questa festa ha il sapore dell’incantesimo: si inizia con la cerimonia della vestizione del semidio. Nella sala dei Gremi, sopra un palco di legno, su Componidori viene vestito da un gruppo di donne, "is massaieddas" (nella tradizione dovevano essere delle vergini), dirette da "sa massaia manna". Il cavaliere non dovrà fare il minimo gesto per aiutare le donne in questo compito e non dovrà più toccare terra se non a Sartiglia ultimata.
Intorno al viso del cavaliere viene sistemata una pezzuola bianca e, ricadente sulle spalle, un velo di pizzo; viene fissata poi la maschera sormontata da un cappello fissato al mento da un nastro di raso verde. La maschera di su Componidori è particolarmente impressionante, non avendo alcuna espressione, forse le vuole suggerire tutte simbolicamente. Nella sala viene fatto poi entrare il cavallo che viene consegnato al cavaliere insieme a sa Pippia ‘e Maju, un bouquet di violette e pervinche col quale egli benedirà la folla che assiste alla giostra con segni di croce.
Le maschere tipiche del carnevale di Fonni sono essenzialmente due: sos Urthos e sos Buttudos. Urtho significa “coperto” e Buttudu è termine che si riferisce ad un montone non castrato.
Sos Urthos sono maschere animalesche, rappresentate da un abito di pelli di caprone bianche o più raramente nere, col viso dipinto di nero, mentre uomini incappucciati tentano di domarli. Essi rappresentano veri e propri guardiani vestiti di nero, col viso dipinto e con al collo una banderuola di campanacci, sos Buttudos.
Probabilmente quello di Mamoiada, è il carnevale sardo più conosciuto e uno dei pochi ad aver varcato i confini della Sardegna.
I personaggi del carnevale mamoiadino sono i Mamuthones e gli Issohadores.
I primi indossano una maschera nera di legno d’ontano dalle fogge antropomorfe, dall’espressione triste e sofferente e dai tratti delle labbra e del naso fortemente pronunciati.
Il mamuthone ha il capo avvolto da su muncadore, un faazzoletto scuro, una mastruca di pelle di pecora, gambali e scarponi tipici del pastore e la famosa carriga, un ammasso di trenta chili circa di campanacci legati assieme e trasportati sulle spalle.
Tornate alla ribalta di recente, le maschere di sos Urtzus e sos Bardianos sono le maschere tipiche del carnevale di Ulà Tirso.
Anche qui, come in altri carnevali sardi troviamo la figura de s’Urtzu, la maschera animalesca che indossa una pelle di cinghiale, tiene al collo un campanaccio e porta sulla schiena “sa zippa”, un grosso pezzo di sughero che serve per proteggersi dai colpi delle mazze usate dai Bardianos.
Originale e ricco di fascino, il carnevale di Samugheo è incentrato su due figure chiave: su Mamutzone e s’Urtzu.
Il primo indossa pelli di capra, pantaloni di fustagno e alla vita porta una cinta di campanacci. Non è presente la maschera. Su Mamutzone infatti ha il viso dipinto di nero. L’elemento
più interessante è rappresentato pertanto dal copricapo: un recipiente di sughero, rivestito di pelli con delle possenti corna che spiccano nella sommità.
Le due maschere tipiche del carnevale di Olzai sono Sos Murronarzos e Sos Maimones.
I primi indossano degli abiti di orbace nera, portano addosso qualche campanaccio e hanno il viso coperto da una maschera di legno.
La maschera de Sos Murronarzos è stata riproposta qualche anno fa. Di pregevole fattura, presenta delle fogge animalesche; è sempre di colore scuro.
Uno dei più tradizionali è rappresentato dalle chiacchiere, che hanno un nome diverso, a seconda della regione d’Italia. In alcune zone, sono chiamate "bugie", in altre "meraviglie" (maraviglias, proprio in Sardegna).
Questo dolce tipicamente carnevalesco ebbe origine nell’Antica Roma, durante dei festeggiamenti in cui era presente una grande folla e per poter offrire qualcosa di veloce a tutti, era necessario ricorrere a dei dessert serviti fritti. Negli ultimi anni, alcune donne erano solite preparare le chiacchiere, utilizzando la pasta restante impiegata per cucinare i ravioli.
Per realizzare delle gustosissime maraviglias, gli ingredienti necessari sono farina, zucchero, olio di semi, tuorlo d’uovo e vino bianco, possibilmente spumante, in modo tale che i dolci si possano sollevare e gonfiare. Per quel che concerne la preparazione, è necessario avere una terrina per lavorare l’impasto; una rotellina a taglio smerlato, che serve per formare le chiacchiere e per tracciare delle linee centrali; un mattarello per stendere la pasta, la quale deve essere il più sottile possibile.
Volti tesi, sorridenti, esultanti. Abbracci di sincera amicizia o d’amore vero. Sguardi sottratti al tempo e resi unici da uno scatto cercato affannosamente e, infine, trovato. Divertimento, leggerezza e garbata civetteria: tutti attimi colti da Cristiana Verazza nell’ultima Sartiglia che, con piacere, proponiamo nel nostro mensile.
Abbiamo incontrato Cristiana nella sua grande casa di Sanluri e le abbiamo chiesto di raccontarci anche a parole, oltre che per immagini, la sua esperienza, piuttosto singolare, dell'anno scorso.
La tua Sartiglia 2015 è decisamente originale e diversa, scatti insoliti, momenti quasi intimi dei protagonisti, come mai hai scelto di documentare il lato meno “solenne” della manifestazione?
Sì, volevo andare "oltre la maschera" per mostrare anche agli altri amanti della giostra, i volti celati di coloro che in quei giorni diventano un po' gli "eroi" di tutti.
Le tue foto sono amatissime sul social per eccellenza. Deve essere fantastico sentirsi così gradita dal pubblico. Tu come ti senti?
Bene, benissimo, anzi non mi aspettavo un tale successo! Per me, quasi 900 like, sono un grandissimo risultato! Considerato che la mia è stata una Sartiglia "alternativa" a causa di un guasto che mi ha costretto ad usare un mezzo a cui non potevo chiedere troppo, mi pare che i risultati siano stati soddisfacenti.
La tua passione per Sartiglia e per la fotografia sta diventando sempre più importante, a giudicare dai tuoi scatti.
La passione per la Sartiglia l’ho sempre avuta, ma la fotografo solo da quattro anni. Ogni volta è come tornare a trovare dei vecchi amici dai quali mi sento simpaticamente accolta e che mi lasciano libera di fotografare come piace a me. Vivo l’evento come se fossi oristanese ma con la "peculiarità" di non esserlo. Ciò significa non avere condizionamenti o preferenze per un Gremio piuttosto che per un altro.
Mi piace ogni fase della manifestazione e condivido con tutti o quasi questa gioia. L’amore per la fotografia è invece vivo e scalpitante: vorrei solo poter avere più tempo da dedicarle, perché fare fotografia significa cercare costantemente quella perfezione che ho quasi la certezza di non raggiungere mai. Il percorso è perciò sempre nuovo ed eccitante.
Cosa ti diverte e cosa ti emoziona di più?
Ciò che mi diverte davvero tanto è il rapporto caloroso e simpatico che si è ormai instaurato con tutte le persone che ritrovo ogni anno. Dai compoidoris ed ex sartiglianti agli addetti alla sicurezza, ai colleghi con i quali condivido il ristretto spazio riservato ai reporter.
Durante le pariglie, così difficili da fotografare, nascono anche dei piccoli battibecchi, leggeri come le piume dei tamburini o dei trombettieri che le hanno generate: le inquadrature invase dai pennacchi suscitano battute che sfumano sempre in prese in giro leggere e affettuose.
Siamo pur sempre a Carnevale. L'emozione nasce spontaneamente dalla bellezza dei cavalli e dei costumi perché sento che rappresentano qualcosa di unico al mondo; e che dire dell'abilità dei cavalieri? Come ho detto, amo la Sartiglia in ogni suo momento: dalla vestizione all'uscita dalla sede del Gremio, dalle corse alla stella a sa remada e alle pariglie indiavolate delle quali posso vantare alcuni scatti frontali molto belli che hanno fatto il giro dei social, spesso, in maniera impropria.
Is tzipulas sono le gustosissime frittelle, tipiche del periodo carnevalesco e rigorosamente artigianali, preparate dalle mani esperte delle donne che rispettano le tradizioni del proprio paese. Dolce apprezzato in tutta l’Isola, ma certamente caratteristico della Sardegna centrale. Narbolia è il più importante paese nel quale ci si dedica a preparare le tzipulas di Carnevale. Trattandosi di un piatto tipico del periodo dell’anno in cui si ama organizzare eventi legati allo scherzo, nei tempi passati, alcune donne erano solite divertirsi inserendo qualcosa nell’impasto de is tzipulas, per esempio, dei bottoni di camicia.
Quando le servivano ai loro ospiti, attendevano con ansia il momento del primo morso, perché non vedevano l’ora di ridere quando le persone si accorgevano di essere state burlate.
Grazie ad un una ricerca etnografica ad Aritzo due maschere sono tornate di recente alla ribalta: s’Urtzu e su Mamutzone.
Il rituale prevede in questo caso una vittima sacrificale rappresentata da s’Urtzu (Orcus nella mitologia etrusca era la divinità degli inferi) e la figura uomo-animale riprodotta da su Mamutzone.
Questo indossa una giacca di pelle di pecora scura, senza maniche, un copricapo di sughero sormontato da maestose corna di muflone.
La notte a cavallo tra il 16 ed il 17 gennaio, in tutta la Sardegna, ma soprattutto nel suo entroterra, ovvero in quei centri fortemente conservativi della lingua e delle tradizioni, questa data è molto importante, perché in ognuno di questi paesi, quella sera arde un imponente falò in onore di Sant’Antonio.
Nell’isola il culto di questo santo è molto antico e molto sentito. Il mito che ruota attorno a Sant’Antonio affonda le radici nella notte dei tempi, quando, attenendoci alla leggenda, il santo scese negli inferi sfidando i demoni, per rubare una favilla incandescente, portarla sulla terra e regalare così il fuoco all’intera umanità.
Facile intuire come il fuoco in onore di Sant’Antonio,(la cui traduzione nella lingua sarda varia da zona a zona: su fogulone, su foghidoni, su fogu, sos focos, sas frascas, su fogadoni, per citarne alcuni) sia un evento carico di significato e rappresenti, non solo per gli aspetti leggendari già visti, ma anche per quanto riguarda quelli rituali, sacri, folcloristici e non da meno, per il fatto che svolge un’importante funzione di socializzazione e aggregazione, un momento molto significativo e di estremo fascino nella cultura sarda.
Erano vari decenni che nelle strade di Seui non si vedevano più le antiche maschere de’ “Sa Mamulada”, la cui origine si perde nella millenaria cultura agro-pastorale della nostra misteriosa isola.
Alcune possibili interpretazioni ci portano a ritenere che servissero da stimolo alla natura per il suo prossimo risveglio primaverile, quindi con una funzione propiziatrice.
Caratteristiche comuni della maschera seuese è che tutti o quasi i figuranti che hanno il viso annerito, indossano alcune pelli animali sull’abito tipico maschile, cingono alcune grosse cinture in cuoio ornate da numerosi campanacci e sulla testa hanno copricapi confezionati con teste di muflone e caprone.
Oristano ha in sa Sartiglia una vetrina eccezionale per sé e il suo territorio. Un territorio ricco di prodotti prelibati, dagli allevamenti, gli orti e i frutteti della zona di Arborea , alle risaie, al pesce di Cabras e la sua squisita bottarga di muggine, al buon vino, alla tradizione culinaria e artigianale nei gioielli e nelle ceramiche. Un territorio ricco di storia che può e deve aprirsi verso altri orizzonti.
Si arriva presto ad Oristano, malgrado la festa inizi solo il pomeriggio. Verso le 9 e mezzo è d'obbligo una sosta al bar dell’amico Antonio Sanna, fantino e abile “acchiappa stelle” da ragazzo.
Eccitazione, ansia e qualche nervosismo: condizioni meteo averse potrebbero rovinare le piste ricoperte di sabbia.
Il centro cittadino è un viavai di gente, turisti, ragazzi e ragazze che fanno festa e si dipingono la faccia, si travestono.
C’è da vedere tante cose in questa città della Sardegna centrale che vanta un passato storico importante da capitale del Giudicato di Arborea e che ha visto la prima donna Giudice, la celeberrima Giudicessa Eleonora, dotare il suo territorio di un corpo di leggi, la Carta de Logu, esempio stupefacente di capacità di governare nel XIV secolo.
Così accade che alcuni dei cavalieri che corrono la competizione siano donne. Non solo, capita pure che la scelta de su Componidori, il Capo corsa, cada proprio su una donna.
La Vestizione è un rito emozionante. Non è facile, infatti, accedere a questa liturgia dalle regole ferree. Gli invitati sono scelti dal Gremio e forse, se si ha pazienza davanti al portale di accesso e si resiste due ore in piedi all’interno, si ha il privilegio di assistervi.
Il rituale è lungo, ma non annoia mai. Perché ogni gesto, anche annodare un nastro o cucire le bende intorno al capo, è accompagnato dal frenetico rullare dei tamburini e dallo squillo delle trombe che scandiscono il ritmo definendone il linguaggio sacrale. L’abito viene quasi cucito addosso al Semidio. Sa Massaia Manna, maestra di cerimonia, porge al termine la camelia rosa fissata poi sul cuore del Componidori.
Dopo un brindisi, il Capo corsa può montare il cavallo elegantissimo nelle sue coccarde colorate e superbo nell’andatura, che fa il suo ingresso in un cortile immerso nel silenzio innaturale del pubblico. Il Corteo si avvia verso la pista che si snoda davanti alla maestosa Cattedrale in centro città.
La corsa inizia al rullo dei tamburi e agli squilli di tromba. La prima discesa è del Componidori; la sua maschera bizzarra e indefinita ne cela l’identità e tutti sperano che sia “un’acchiappa stella” perché porterà bene ai raccolti. Da Piazza Manno, da dove cioè parte la corsa, giù lungo la via Duomo e poi via Sant’Antonio, il calcolo deve essere veloce e non si deve sbagliare una virgola. D’altronde le misure sono state prese al momento dell’incrocio delle spade del Capo corsa con il suo Segundu: ben tre volte si sono incontrati sotto la stella, posta a metà di Via Duomo.
Ecco spuntare su Componidori dalla cima della strada. Ha già preso velocità e lentamente punta la spada davanti a sé. Il cavallo galoppa senza alcuna incertezza e un momento prima del punto cruciale, dà forza al braccio che infilza la stella. Il pubblico è in delirio, urla la sua gioia e acclama la grande prova del Semidio che è riuscito nel miracolo di destrezza della prima stella.
Da quel momento, la corsa si riscalda: la strategia del Capo corsa è semplice: infilzare più stelle possibile.
La cosa che distingue sos Colonganos, (da kòlos = pecora), maschera tipica di Austis, è l’assenza di un elemento tipico presente in tutte le maschere barbaricine: il campanaccio.
In numero più o meno consistente i campanacci sono un elemento caratterizzante di tutte le maschere tradizionali sarde.
Sos Colonganos si distinguono per questo: al posto dei campanacci portano sulle spalle un impressionante carico di ossa di animali che tintinnano sinistramente a ogni passo.
Thurpos. Tradotto: ciechi, storpi. La maschera tipica del carnevale di Orotelli è rappresenta da queste figure che portano un lungo pastrano d’orbace nero, gambali e scarpe da
pastore.
Li contraddistingue anche una piccola filiera di campanacci che portano a tracolla. Sos Thurpos non hanno una vera e propria maschera. Al suo posto infatti, l’usanza
impone loro di dipingersi il viso di nero.
Il mare sardo è senza dubbio uno dei più ricchi di pesci. Quando si guardano i documentari, si può notare che numerosi filmati sono stati precedentemente girati nell’Isola. Il motivo di questa scelta è che il mare sardo è maggiormente stimato da coloro che amano l’attività della pesca.
A livello sportivo, la pesca è certamente una passione per chi la pratica e non un obbligo qualunque. E il Mare di Sardegna offre la possibilità di perlustrare una varietà di zone in cui gli appassionati possono dedicarsi al loro hobby. Attraverso i racconti e le spiegazioni di un pescatore sportivo, si può venire a conoscenza della sua giornata tipo, in compagnia di altri patiti della pesca.
Di norma, ci si sveglia alle 6 del mattino e alle 6:30 si è già in mare. È buona regola, però, controllare le previsioni meteo sia il giorno precedente sia la mattina del viaggio, perché è importante informarsi riguardo al tempo previsto per la giornata in corso e perché in questo modo è possibile scegliere la destinazione più adatta per pescare in quel determinato giorno. Infatti, se il mare è mosso e a seconda del vento, si tende a restare preferibilmente sotto costa e l’"amico" pescatore e i suoi compagni esplorano la zona del Golfo di Oristano.