La festa di Sant’Efisio è caratterizzata da una lunghissima processione. Con i suoi 65 km che vengono percorsi a piedi in quattro giorni, è la più lunga processione italiana. Inoltre per valenza culturale, turistica e spirituale si può tranquillamente affermare che sia tra le più importanti dell’intero bacino del Mediterraneo.
Ripercorriamo le varie tappe che compongono questo lungo tragitto.
Il primo maggio alle ore 12.00 il simulacro di Sant’Efisio parte dalla Chiesa di Stampace, sul suo cocchio di gala, scortato dall’Arciconfraternita e dai tanti fedeli, seguendo un preciso itinerario che lo vede attraversare le seguenti vie di Cagliari: Via Azuni, Piazza Yenne, Corso Vittorio Emanuele, Via Sassari, Piazza del Carmine, Via Crispi, Via G.M. Angioy, Via Mameli, Largo Carlo felice. L’apice della processione in città viene raggiunto quando il cocchio imbocca Via Roma, dal lato del Comune, dove viene accolto dal suono della launeddas e dei canti. Attraversata Via Roma e imboccata la parte bassa di Via Sassari la processione sbocca in Viale La Playa e lascia la città.
Per capire il significato non solo religioso ma anche storico che c’è dietro ogni ricorrenza che si rinnova puntualmente nel tempo, è necessario partire dal motivo primigenio che innescato il tutto. Nel caso della venerazione di sant’Efisio dobbiamo fare un salto di oltre 350 anni e giungere all’anno 1656.
In quei lontani anni è nascosta la scintilla di questa profonda devozione. Col tempo poi fede e tradizione si fondono e il mistero del rito prende sempre più forma, si arricchisce di nuovi particolari per tramandarsi nel corso degli anni.
Anni duri quelli a cavallo del 1652 e del 1656. Un’invasione di cavallette dall’Africa, poi la terribile peste. Il morbo cruento, subdolo e orribile si era insinuato anche nell’isola, trasportato da qualche nave. In poco tempo si diffuse ovunque seminando morte e terrore.
Sant'Efisio fu certo un martire, in una terra segnata dal martirio, ma non fu mai visto come un essere tanto soprannaturale, bensì come una figura semplice e umile che abbracciò la Sardegna intera, facendosi anch’esso sardo. Forse è anche questo uno dei motivi che l’hanno fatto giungere indenne fino ai giorni nostri.
Per capire il significato non solo religioso ma anche storico che c’è dietro ogni ricorrenza che si rinnova puntualmente nel tempo, è necessario partire dal motivo primigenio che ha innescato il tutto. Nel caso della venerazione di Sant’Efisio si deve fare un salto di oltre 350 anni e giungere all’anno 1656.
Quartiere di Stampace. Via Sant’Efisio, civico 34. Un piccolo portoncino in legno scuro sul quale campeggia una scritta latina: Carcer Sancti Ephysi M. Si scende nove metri sotto il manto stradale attraverso una ripida scalinata e si accede a un ipogeo interamente scavato sulla roccia calcarea. Una stanza rettangolare, il cui soffitto è sorretto da due pilastri.
A meno di dieci giorni dal 359° scioglimento del voto che lega la Municipalità di Cagliari ad una delle tradizioni religiose più sentite e longeve, Efisio si rinnova l’uomo ed il santo della riconoscenza, della condivisione e della solidarietà. L’edizione di quest’anno, in partenza il 25 aprile con l’intronizzazione del cocchio fino all’atteso ed evocativo rientro in Stampace il 4 maggio, potrà pregiarsi di un ulteriore tassello nella candidatura della “Festa grande” alla Lista dei Patrimoni immateriali per l’Unesco: la Commissione italiana ha scelto infatti di presentarla a Parigi quale ricchezza prioritaria da salvaguardare oltre i confini isolani e nazionali.
Dal 1657, anno in cui i cagliaritani sciolsero il voto fatto a Sant’Efiso affinché li liberasse dalla peste, la processione che porta il feretro del santo fino a Nora, non subì mai interruzioni, anche negli anni bui della guerra. Correva il 1943 e Cagliari stava subendo ripetuti bombardamenti da parte delle forze alleate anglo-americane, ma contro ogni rischio e pericolo, un gruppo di fedeli, anche quell’anno, mantenne fede alla promessa fatta e tra mille paure e difficoltà trasportò il santo fino a destinazione.
Quell’anomala processione prese il via in un clima surreale. La città era stata quasi interamente evacuata per via dei terribili bombardamenti del 26 e del 28 febbraio. In quel tragico maggio del ’43 era presidiata militarmente, ovunque sorgevano postazioni militari e batterie antiaeree per paura d’incursioni nemiche. Interi quartieri erano ridotti a un cumulo di macerie, palazzi sventrati e calcinacci sparsi ovunque, nei vicoli, nelle piazze e nelle strade.
In questo tragico scenario la statua del Santo fu rinvenuta incredibilmente integra, (col solo naso leggermente scheggiato e un dito rotto), caduta a terra in seguito agli scoppi delle bombe che fecero tremare le mura della nicchia dove era riposta.
Un’antica chiesetta a due passi dal mare. A discapito del tempo, la piccola Chiesa di Sant’Efisio, nei pressi del sito archeologico di Nora, nel comune di Pula (Ca), mantiene intatto ancora oggi, tutto il suo fascino, grazie non solo alla sua linea sobria, esaltata dai grossi conci di arenaria e calcare, ma soprattutto dalla bellissima cornice che solo il mare sardo sa offrire attraverso i suoi magnifici colori.
Questa chiesa in riva al mare è stata eretta nella seconda metà dell’anno mille, esattamente nel luogo in cui, secondo la tradizione, fu martirizzato Sant’Efisio. Un edificio piccolo, al cui interno si respira un’atmosfera di forte spiritualità, accentuata dall’esigua luce del sole che penetra attraverso le piccole monofore laterali.
Dentro la chiesetta risalta il colore vivo dell’arenaria; c’è una quasi totale mancanza di orpelli, domina ovunque la semplicità. Le tre piccole navate, divise da modeste arcate, poggiano su semplici pilastri. Tutto appare candido, essenziale.
Le testimonianze di chi, ogni anno, assiste al canto, in genere accompagnato dalle launeddas, nella chiesa di Stampace dedicata al Santo, sono turbate, cariche di commozione sincera. E questo perché nell’udire le parole di lode e invocazione “Protettori poderosu, De Sardigna speziali, Liberainosì de mali EFIS Martiri gloriosu” già ci si sente al sicuro.
In anni agitati e turbolenti, in cui l’impero romano d’occidente vacillava sotto i colpi delle invasioni barbariche e si martoriava in lotte per il potere, il monoteismo cristiano guadagnava terreno e seguaci, malgrado le persecuzioni e le crudeltà a cui spesso erano sottoposti i convertiti, seguendo umori e gusto per lo spettacolo circense della Roma degli anni prossimi alla sua dissoluzione.
E così, come avvenne a Saul di Tarso, meglio noto come Paolo, persecutore di cristiani, sulla via di Damasco, anche Efisio, messo a capo di una milizia romana da Diocleziano, spietato nemico dei cristiani più per noia che per convinzione della loro pericolosità, dopo aver combattuto e vinto i barbaricini, giunto a Cagliari, denuncia pubblicamente la sua conversione. La narrazione del Presbitero Mauro (o Marco) nella Passio Sancti Ephysii non dice molto, a parte riportare, sul modello del martirio di un altro santo, gli ultimi istanti e reazioni miracolose alle torture da parte di Efiso a cui egli ha assistito come testimone oculare. La croce impressa sulla mano destra, come vediamo ancora oggi nella statua – anche se esiste quella “sballìada”, sbagliata, che la riporta sulla sinistra, - testimonia di un cambiamento convinto e dichiarato alla madre e all’imperatore, insomma un “outing” in piena regola. Arrestato e processato, fu condannato al taglio della testa. Cosicché a Nora, nel 303 (o 313?), la condanna fu eseguita.
Prima di morire, come ci racconta il Prete Mauro presente al prodigio, egli rivolse una preghiera a Dio raccomandandogli di avere un riguardo particolare per la città di Cagliari e “E quanti fra loro soffriranno per qualche malattia, se verranno nel luogo dove sarà posto il mio corpo, per recuperare la salute o se altrimenti si troveranno stretti dai flutti del mare o saranno oppressi da popoli barbari o saranno rovinati da carestie o da pesti, dopo aver pregato me, servo tuo, siano salvi per Te, Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, Luce dalla Luce, e siano liberati dalle loro sofferenze”.
Si è scritto tanto a riguardo, ma la notizia più certa sulle Launeddas è legata al ritrovamento, nelle campagne di Ittiri, di un bronzetto nuragico risalente all’VIII-IX secolo a.C., attualmente conservato nel Museo Archeologico di Cagliari. Il bronzetto è rappresentato da una figura ermafrodita, seduta, che suona uno strumento analogo alle nostre Launeddas, testimonianza del fatto che già in quel periodo esisteva un apparecchio fonico appartenente a questa categoria di strumenti musicali. Le launeddas, definite "triplice clarinetto popolare", costituivano un mezzo fondamentale per accompagnare le giornate di coloro che conducevano una vita agropastorale.
I gruppi folkloristici provenienti da tutta l’isola in occasione della festa di Sant’Efisio si preparano a questa grande kermesse con l’esaltazione di chi si accinge a partecipare alla più bella cerimonia, alla più sentita liturgia religiosa che da quasi 400 anni si svolge il Primo di maggio a Cagliari. Accompagnati dal suono delle launeddas e dai canti tipici, circa 5500 persone in costume tradizionale sfilano su un tappeto di petali di fiori per le vie del centro città. Certo è un’insolita passerella per una sfilata di alta moda, ma a Sant’Efisio, il pubblico non assiste solo alla processione del Santo Martire protettore di Cagliari e dei sardi. Infatti, non ci si stanca di ammirare ed apprezzare i sontuosi abiti indossati da uomini, donne e bambini, carichi di monili, nastri e fiocchi su stoffe dai colori sgargianti, ornati da pizzi e ricami “haut de gamme”, ossia di altissima qualità, come direbbero senza dubbio a Parigi.