La storia medioevale sarda è segnata dall’emanazione di uno degli atti legislativi più importanti per la normativa civile, penale e rurale della Sardegna, la Carta de Logu. Si tratta del primo esempio di costituzione nel mondo, simbolo della tenacia di un popolo capace di un’autonoma gestione interna.
La Carta de Logu è la carta del territorio dello stato, ovverosia una raccolta di leggi in vigore nei giudicati sardi, la cui originaria promulgazione risale a Mariano IV tra 1345 e il 1376 per poi essere rivisitata, successivamente, dalla figlia Eleonora.
La giudicessa rinnovò il corpus legislativo per il suo popolo giudicale, ma la sua validità fu generale a partire dagli inizi del XV secolo fino al IXX.
La primaria finalità del testo normativo fu la certezza del diritto, garantita dalla pubblicità delle leggi in vigore la cui efficacia fu rafforzata dalla scelta linguistica che cadde sul sardo, in accezione arborese, in modo che tutti potessero leggerla e capirne il contenuto.
Cinque secoli di autocefalia condussero il sistema ecclesiastico sardo verso un periodo di completa indipendenza. La condizione di autocefalia rappresentava, infatti, una totale autonomia rispetto alla Chiesa Romana e alla Chiesa Bizantina.
E la scoperta di tecniche agricole, all’avanguardia in quel periodo, favorì lo sviluppo dei monasteri e il conseguente nuovo sistema agricolo a cui venne data particolare importanza.
La struttura della chiesa sarda poté godere, per molto tempo, di una forma di libertà dal potere ecclesiastico centrale, vivendo in un sistema locale di tipo autocefalo, cioè autonomo.
Ma tale periodo conobbe anche una fine, nel momento in cui Papa Gregorio VII sottopose l’organo religioso isolano a una piena sottomissione al vertice romano.
Lo sviluppo dell'architettura romanica in Sardegna è tale che, insieme ai resti della civiltà nuragica, costituisce una delle maggiori attrattive culturali dell'isola.
Le chiese sarde del medioevo, pur rivelando influenze lombarde, toscane o provenzali, sono tuttavia molto diverse tra loro che dai modelli cui si ispirano, sia a causa dei numerosi ordini monastici che si insediarono nell'isola, sia dal fatto che le maestranze provenissero da aree differenti.
Gli edifici di culto sono generalmente di piccole dimensioni e sobri nelle decorazioni a causa delle condizioni economiche in cui versava l'isola.
Mancano le cupole all'incrocio delle navate e gli edifici rotondi e poligonali a uso di battistero.
La pianta a croce latina è usata di rado, mentre è più frequente l'impianto basilicale paleocristiano a tre navate con abside rivolto a est. Le chiese di campagna hanno in genere una sola navata che termina direttamente nell'abside semicircolare.
Molto tempo prima che la città di Oristano fosse fondata, la penisola del Sinis aveva visto crescere un’importante città fenicio-punica, i cui resti ancora oggi sono visibili. Parliamo, ovviamente, di Tharros.
Le sue strade, il suo centro, i templi, e il suo porto ci fanno capire come questa città fosse un centro di grande rilevanza e prestigio. Con la caduta di Tharros e le incursioni saracene, gli abitanti decisero di spostarsi verso l’interno fondando la città di Oristano. Una delle ipotesi della sua fondazione presuppone che la città sia stata costruita con le pietre recuperate dalla distrutta Tharros.
Al di là di questa supposizione il villaggio bizantino di Aristanis (Oristano), sorge accanto ai ruderi di un altro antico centro: Otocha (attuale Santa Giusta) che, da borgo contadino, diviene intorno all’anno Mille il nuovo capoluogo del Giudicato d’Arborea. Dei quattro Giudicati sardi quello d’Arborea risulterà il più longevo.
Infatti, la conquista catalano-aragonese del Regno di Sardegna, iniziata nel 1323 e che porrà fine all’esperienza dei regni giudicali sardi, riuscirà ad annettere Oristano e il suo antico regno, solo nel 1420, al termine di tutta una serie di sanguinosissime battaglie.
30 giugno 1409. É la data segna la fine del dominio dei sardi nella propria terra. Quel giorno capitolò, infatti, il giudicato d’Arborea, l’ultimo avamposto di una storia, quella dei giudicati sardi, ricca di fascino e speranze e che aveva come obiettivo un chimerico Regnum Sardinae, divenuto più nell’immaginario del popolo che nella realtà.
Si tratta di uno dei capitoli più belli ed entusiasmanti dell’intera storia sarda
Un periodo durato decenni, dove si sono alternate battaglie, intervalli di pace e prosperità, carestie, leggi e regolamenti, fortune e pestilenze, fino all’inevitabile tramonto.
Il 30 giugno 1409 nei pressi di Sanluri si consumò la tristemente celebre battaglia tra le forze catalano-aragonesi, capeggiate da Martino il Giovane e l’esercito sardo dell’ultimo giudicato ancora in vita in Sardegna, quello d’Arborea, appunto, guidato da Guglielmo III de Serra Bas.
Eleonora D’Arborea (1340-1404) nacque in Catalogna da Mariano IV dei Bas Serra e dalla nobile catalana Timbora di Roccaberti.
Figlia di un padre fedele alla politica unificatrice sarda, si prodigò per la difesa della sovranità giudicale nell’intento di unificazione territoriale e l’affrancamento della terra sarda dai domini stranieri.
Il giudicato d’Arborea (Rennu de Arbaree) era uno dei quattro stati autonomi derivanti dalla dissoluzione del potere bizantino e uno tra i più rigogliosi, in virtù della proprietà territoriale pari a un quarto della Sardegna.
Era costituito da tredici curatòrie, dotate da vari comuni agricoli di vasta dimensione.
Il Medioevo in Sardegna è stato caratterizzato dalla diffusione di un particolare sistema organizzativo-territoriale, unico in Europa, che ha figurato come l’antecedente a quelli che verranno definiti in seguito come Stati Nazionali, ossia i Giudicati (IX-XV secolo).
La loro formazione è supportata da una scarna risorsa di fonti storiche da cui si può attingere per determinarne l’esatta costituzione temporale, ma per certo è conosciuta e provata dalla storiografia, la diffusione delle incursioni arabe a partire dal 705, finalizzate alla conquista dell’Isola, strappata ai Vandali nel 535 per mano dell’Impero Bizantino, sotto il diretto controllo del generale Belisario.
Le incursioni arabe portarono a una fortificazione in crescendo della difensiva sarda, tanto che nel 851 Papa Leone IV in una missiva inviata allo Iudex Sardiniae chiedeva l’invio di un contingente militare per supportare la difesa di Roma dal pericolo arabo, nonché la fornitura di bisso, il prezioso tessuto derivante da un mollusco utile per la realizzazione di abiti papali.
Fra i tanti castelli di epoca medievale costruiti in Sardegna, il castello di Burgos, nel Goceano, è senza dubbio il più ricco di storia e quello che offre anche le più intriganti leggende.
La sua costruzione risale al 1130 circa, ad opera di Gonario di Torres che scelse un luogo impervio e impenetrabile e allo stesso tempo incredibilmente strategico, in quanto punto di passaggio inevitabile per tutti coloro che accedevano al Giudicato di Torres.
Un castello di frontiera insomma, posto a primo baluardo di difesa del Regno di Torres, in un punto dal quale dominava l’alta valle del Tirso, all’epoca terra fertilissima, dove le attività agricole e pastorali erano molto diffuse.