Una delle più interessanti figure sarde del passato, ancora una volta strettamente legata alla morte, faceva la sua comparsa durante la veglia funebre, scandendo con la sua voce i vari passaggi di un rituale antichissimo e ricco di suggestione.
Stiamo parlando de s’attitadora, ovvero la prefica, figura ben nota in tutto il bacino del Mediterraneo ed elemento imprescindibile in presenza della morte.
In passato in Sardegna il lutto veniva vissuto in maniera tragica. In certi paesi dell’entroterra le vedove restavano in assoluto ritiro per lunghi anni e se la morte del consorte avveniva in maniera violenta, poteva durare tutta la vita. Vittorio Angius nel suo monumentale Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, in collaborazione col Casalis, scrisse di come il lutto in Sardegna venisse sentito in tutta la sua devastazione, raccontando di uomini che per anni non si radevano la barba e andavano squallidi e incappucciati e di vedove che una volta vestite di nero in seguito al lutto lo portavano per tutta la vita.
Is attitadoras in questa fase embrionale della morte, quando non si ha ancora la consapevolezza dell’accaduto, ricoprivano un ruolo essenziale. Erano delle donne, talvolta giovani, più frequentemente anziane, spesso vedove o che comunque avevano avuto esperienze luttuose in famiglia che venivano chiamate subito dopo la constatazione del decesso, da parte dei familiari del morto, per partecipare alla veglia.
Il loro compito era quello di prendere parte alla “cerimonia” da protagoniste assolute, anzi rappresentavano loro stesse l’elemento indispensabile in ottica di piena contemplazione del deceduto.