Antonia Mesina
Il frutto di una terra
Antonia Mesina era giovane e bella quando incontrò il suo assassino. Pensare a lei, figlia docile d’una terra indocile e aspra come la Sardegna dell’interno, ricorda i fiori che danno colore ai muretti a secco coperti di rampicanti o ai cespugli di plumbago in fiore, accostato a diversi toni sanguigni della bougainvillea.
Ma sono i colori viola, bianchi e gialli di una passiflora rampicante, il frutto della passione dalla forma perfetta e complessa, che sembrano accostarsi di più e meglio al destino spirituale della Beata di Orgosolo.
Da queste tinte e da questi simboli prende corpo la suggestiva figura umana della Mesina che trae forza e intensità emotiva dalla natura rigogliosa delle campagne intorno a Orgosolo da cui, giovanissima vittima, aveva saputo prendere tutto il più bello e il più buono.
Limpida e chiara come il cielo, ha poi saputo restituire dignità ad una terra nuda e ingrata.
Modello di umiltà, contrastò l'aggressività di una terra selvaggia opponendosi con coraggio e volontà al suo torturatore, fino al sacrificio di sé.
Tale vigore d'animo rimane attuale nella vita di oggi, un esempio per non farsi sopraffare dalle cose ingiuste, malevole, facili e superficiali.
La storia di “Nenetta”, è breve e semplice come la sua vita. Nacque nella primavera del 1919 da mamma Grazia e papà Agostino a Orgosolo, al centro della Sardegna, a 620 metri di altitudine, su un complesso montuoso Supramonte, composto di altipiani calcarei ricchi di falesie, pareti a picco che occupano la parte centro-orientale dell'isola.
Crescevano insieme a lei altri otto fratelli, ai quali dedicò gran parte della sua vita, intenta alle faccende domestiche insieme alla madre. Entrata in Azione Cattolica, a dieci anni era già “Beniamina”.
La sua spiritualità era rappresentata dal “quotidiano da amare” e la sua prima virtù era la purezza, per la quale fece una convinta crociata promossa da Armida Barelli (co-fondatrice nazionale dell'Università Cattolica del Sacro Cuore), sull'esempio eroico di Maria Goretti, destino beffardo riservato anche a lei che, ovviamente ignara del suo futuro, ne leggeva la biografia, come testimonia il libro che poggiava sul suo comodino.
Stessa vita semplice e ordinaria, fatta di azioni quotidiane come raccogliere la legna nei boschi intorno al paese.
Un diciassette di maggio, quest'azione tanto familiare quanto a lei gradita la sorprese, e pose fine alla sua vita gettando per sempre nel dolore e nello sconforto i suoi cari e l'intero paese.
Fu infatti un giovane di Orgosolo, che l'aveva seguita lungo il cammino, a tenderle un agguato, aggredendola e cercando di aver ragione di lei, ma senza riuscirvi. Nenetta lottò con tutte le sue forze a costo del proprio martirio, di una violenza inaudita.
Il suo corpo, straziato a sassate, in un lago di sangue, sembrò abbeverare una terra, a volte seminata da invidie e arcigne cattiverie, e ciononostante riscattandola dal rancore e dalla barbarie, offrendosi di nuovo alla terra, rigenerandola in un clima fatto di pace, umiltà, forza, natura generosa, buon pane e cose semplici.
Proprio ciò che Antonia Mesina amò tanto nella sua acerba vita da ragazza.