La Madonna dello Schiavo di Carloforte
La storia della Madonna dello Schiavo affonda le radici nell’Africa settentrionale in un passato non molto lontano.
Intorno alla metà del 1500 un gruppo di pescatori si stabilisce nella zona nord-ovest della Tunisia, nei pressi dell’antica Tabarka, una colonia romana oggi al confine con l’Algeria.
Per quasi duecento anni gli abitanti di questa piccola cittadina diedero vita oltre che a una redditiva attività di pesca di corallo anche a un altrettanto fiorente commercio di spezie.
I Lomellini, l’aristocratica famiglia genovese che ebbe in consegna l’isolotto e il porticciolo di Tabarka iniziarono ad avere, col passare del tempo, sempre più contrasti con le popolazioni locali che sfociarono in atti di violenza, ricatti e minacce, col pericolo della schiavitù perpetuato da parte del Rais che aveva il controllo di quella zona, sempre più incombente.
Visto il precipitare della situazione, il Re Carlo Emanuele III di Savoia cercò un altro luogo sicuro dove trasferire quella comunità che aveva da subito professato la fede cristiana.
Fu scelta l’Isola disabitata di San Pietro, (chiamata allora Isola degli Sparvieri) nella parte sud-occidentale della Sardegna e i Tabarchini nel 1738 si trasferirono di buon grado in quel lembo di terra fondando un piccolo insediamento che chiamarono Carloforte, in segno di riconoscenza per la forza manifestata dal sovrano che gli aveva concesso quella nuova patria.
Alla fine del Settecento la piccola comunità di Carloforte subì un’incursione piratesca da parte dei berberi provenienti dal Nord Africa che si concluse drammaticamente con la cattura di quasi mille abitanti (circa la metà dell’intera popolazione lì ubicata) e la successiva deportazione a Tunisi dove furono ridotti in schiavitù per cinque lunghi anni.
Uno di questi giovani schiavi, Nicola Moretto, in un momento di distrazione del suo padrone e di conseguente libertà, trovò su una spiaggia nei pressi di Tunisi una statua lignea, consumata dal sole e dal mare e deteriorata dalla salsedine.
I suoi lineamenti però, seppur danneggiati, mostravano l’effigie di una Madonna con un bambino.
Il ragazzo a quel punto ripulì la statua, la avvolse nella sua giacca e la portò con sé.
Questo ritrovamento casuale fu accolto dalla piccola collettività schiavizzata come un segno divino di protezione da parte della Vergine, incutendo nell’animo delle persone, affrante e sconsolate per la loro triste condizione, una grande speranza e una rinnovata fede.
Anche i musulmani che nutrivano un profondo rispetto per la Vergine Maryam, venuto a sapere del ritrovamento, rifletterono molto e iniziarono a trattare con maggiore riguardo i propri schiavi.
Di lì a poco la situazione cambiò radicalmente. Che si sia trattato di un miracolo o di una semplice coincidenza quel ritrovamento coincise con l’avvio del processo di futura liberazione dei Tabarchini. Al miglior trattamento concesso loro dagli oppressori, seguì il pagamento da parte del nuovo Re, Carlo Emanuele IV di Savoia, di un riscatto che concesse la libertà agli oltre novecento schiavi e consentì loro di ritornare nell’amata terra.
La piccola statua, debitamente restaurata e rimessa a nuovo fu portata nell’omonima chiesa, fatta costruire per l’occasione. Si tratta di un piccolo santuario eretto fra il 1807 e il 1815, dalla semplice facciata neoclassica a unica navata. Essa fu deposta nell’abside, sopra un piccolo altare, all’interno di una nicchia, dove ancora oggi è custodita.
Da questo evento ebbe origine il culto della "Madonna dello Schiavo", Vergine protettrice dei Tabarkini e ancora oggi restano indelebili i diversi aspetti e i contrastati stati d’animo che hanno caratterizzato quel tragitto: l’incredulità, il dolore, l’angoscia per aver perso la libertà nel viaggio di andata e il sollievo, la gioia, l’esultanza con annessa la riavuta libertà che il viaggio di ritorno ha invece offerto.
Sono passati oltre duecento anni da quei fatti e ciò che resta oggi, oltre all’incredibile vicenda è una ritrovata testimonianza di fede, innescata nel lontano 1803 ma che ogni anno si rinnova puntualmente, il 15 novembre, attraverso una processione in onore di quella piccola statua un tempo nascosta tra la sabbia e lambita dalle onde del mare di una piccola spiaggia tunisina.