C'era una volta, tanto tempo fa, un bandito di Gallura che si era dato alla macchia. Una sera, per via di alcune faccende che aveva dovuto sbrigare, si era attardato e non era riuscito a tornare in tempo per la notte al suo rifugio. Era estate e la sera tiepida, quindi, all'imbrunire decise di passare la notte all'addiaccio.
Scelse allora un luogo riparato ai piedi di una roverella. Qui legò il cavallo, stese una coperta su un tappeto di muschio e, tenendo il fucile a portata di mano, si stese cercando di prendere sonno.
Il sonno però non veniva e mille pensieri gli frullavano per la testa. Pensava a quanto male avesse fatto, alle rapine e ai morti che aveva sulla coscienza. Allora aprì gli occhi e cominciò a guardare le stelle sperando che scacciassero i cattivi pensieri e gli conciliassero il sonno.
Ecco la Croce di San Costantino che splendendo in mezzo alla via Lattea gli diede un senso di sicurezza. Proprio mentre stava per assopirsi sentì in lontananza un suono di launeddas, canti e un vociare come di festa. Si levò e vide già alte le stelle rosse dello Scorpione, doveva esser da poco passata mezzanotte. Chi mai poteva far festa nel bosco a quell'ora di notte?
Mise il fucile a tracolla e si avviò verso un chiarore che si intravedeva tra gli alberi da dove pareva arrivare la musica. Arrivò vicino a una radura e vide i lumi intorno a una chiesetta dove decine di persone facevano festa.
Ogni mattina Julia si dedicava alle faccende domestiche, come ogni brava figlia che aiuta la sua cara mamma: cuciva, si occupava della casa e dava una mano badando ai suoi fratelli.
Viveva con la sua famiglia a Mores: il suo papà era un muratore e la sua mamma era una casalinga.
Casu Masia Porcu era il suo cognome originale, ma era conosciuta come Julia Carta.
Un giorno sposò un contadino di Siligo, che aveva perso la moglie e che aveva un figlio.
Julia aveva un dono particolare, una caratteristica ereditata dalla nonna: era capace di predire il futuro e di preparare e utilizzare da sola gli strumenti per farlo.
Purtroppo, questa qualità cominciò a essere preoccupante per le altre persone, nonostante la giovane fosse conosciuta come colei che aiutava positivamente chi stava male.
Tutto ciò fu l’inizio del proprio dolore e tormento.
Tanto tempo fa viveva a Sestu una donna che, rimasta incinta, aveva voglia di mangiare tutto ciò che vedeva.
Ogni sera, tornando a casa, doveva passare accanto all'orto di Babai Orcu e, a poco a poco, prese il vizio di allungare la mano attraverso il recinto e di rubare ciò che riusciva ad acchiappare per mangiarselo.
Babai Orcu se ne accorse e una sera si nascose sottoterra lasciando fuori solo un orecchio. La donna passando lo vide e, pensando fosse un fungo, saltò dentro per raccoglierlo. Il fungo però non veniva fuori e cominciò a tirarlo con maggiore forza, finché non venne fuori l'orco.
«Ah! sei tu che ogni giorno mi rubi le verdure! E adesso io mangio te! »
E lei, terrorizzata, «Per piacere Babai Orcu, non mangiatemi! Vedete che sono incinta, fatelo almeno per la mia creatura! »
«Benissimo! » disse l'orco. "Non ti mangerò, ma quando tuo figlio compirà quattordici anni me lo dovrai portare». E la lasciò andare.
A Gairo, nel cuore dell’Ogliastra, ancora oggi si racconta una leggenda che affonda le radici in un passato remoto: la leggenda de sa “babbaieca”.
Sa “babbaieca” è un sentiero che conduce a un grosso precipizio non lontano dal torrente Rio Pardu. Questo sentiero veniva percorso dai figli che accompagnavano i vecchi padri per poi lasciarli cadere dall’alto dirupo, in quanto venivano ritenuti ormai inutili per la società e per cui andavano eliminati per non gravare più sulle spalle della famiglia.
La parola “babbaieca” infatti è composta da “babbai”, babbo, che abbinato al termine “eca”, che significa entrata o anche uscita da o verso un sentiero, formano la parola “babbaieca”, che si potrebbe tradurre in “uscita del babbo” o più in generale uscita del vecchio o ancora del nonno, in quanto “babbai” poteva essere utilizzato anche per chiamare il nonno.
Tra Orgosolo e Urzulei si estende la gola di Gorropu che con i suoi cinquecento metri d'altezza vanta il primato di essere il canyon più profondo d'Europa.
Una leggenda racconta che in quel luogo vivesse Urtaddala, una jana di una bellezza ineguagliabile.
Ogni mattina usciva da una grotta segreta per raggiungere una radura circondata da un bosco di lecci.
Qui sedeva su uno sgabello d'oro e si metteva a tessere stoffe di lana impalpabile su un telaio anch'esso d'oro.
Con sé portava un cagnolino che abbaiava tre volte quando qualcuno si avvicinava e, a quell'avvertimento, Urtaddala, raccoglieva rapidamente le sue cose e spariva.
Talvolta i pastori la vedevano cavalcare in lontananza attraverso boschi e valli in groppa a un cavallo bianco, così lucido da sembrare d'argento.