Una delle attività più diffuse in Sardegna è l’artigianato che, oltre a tramandare le antiche tradizioni e conservare così il patrimonio storico e umano, costituisce l’espressione più originale ed interessante dell’arte sarda.
La tessitura, le ceramiche, la lavorazione dei metalli, l’intaglio, l’arte dell’intreccio sono ancora oggi condotte con tecniche e metodi niente affatto moderni, il che permette di ottenere degli oggetti, dai più utili a quelli ornamentali, di notevole gusto artistico.
Il premio più importante che un artigiano può ricevere è l’acquisto dei propri prodotti da parte dei clienti; è l’apprezzamento delle proprie creazioni da parte degli acquirenti; è l’immagine degli occhi delle signore che brillano alla vista di un oggetto che le fa impazzire. Non sono i riconoscimenti ufficiali o le targhe che creano soddisfazione per l’artista, bensì il continuo afflusso di persone che vogliono l’oggetto prodotto da quell’artigiano.
Massimo Mattana crea opere d’arte in sughero che piacciono a un vasto pubblico. Il piacere più grande arriva dal forte interesse che si può riscontrare da parte di coloro che acquistano la merce presentata dall’artigiano. Sapere che, inizialmente, il sughero non era un materiale particolarmente gradito, soprattutto in una cittadina come Assemini, dove prevalgono altre attività artigianali, e constatare che, successivamente, il seguito di clienti è cresciuto, diventa una bella gratificazione personale e professionale, che spinge a lavorare ancora di più per garantire un prodotto sempre all’avanguardia e per ottenere un enorme successo. L’idea delle persone è legata alla moda e non alla tradizione della propria terra. Massimo Mattana è riuscito a fondere queste due caratteristiche in diverse serie di articoli che richiamano sia la cultura e l’origine dell’Isola sia le tendenze attuali.
Nata nel ’95, la Bottega del sughero di Massimo Mattana è diventata un’importante azienda conosciuta da tanti. All’età di diciannove anni, l’attuale artigiano ha perso il lavoro perché la ditta per cui lavorava aveva chiuso. La fortuna nella sfortuna l’ha condotto verso l’hobby del padre. I primi tempi, si trattava di un "lavoro paracadute", perché, in mancanza d’altro, quella era l’unica ancora di salvezza. Poi si è rivelata una vera passione e la grinta è aumentata. Certamente, all’inizio si sono presentate le prime difficoltà, perché l’età molto giovane del ragazzo non dava fiducia ai clienti. Inoltre, un nemico non di poco conto era la concorrenza, non tanto nel settore del sughero, perché non c’è un vasto numero di artisti che se ne occupano, quanto a livello di artigianato in genere.
Un bambino dei tempi d’oggi vive tra giocattoli e oggetti sofisticati. Un bambino dei tempi passati era abituato a trascorrere le giornate immerso nella fantasia e nella creatività, tra prodotti semplici e pochi giocattoli. Il passatempo più bello era creare dal nulla delle cose che aveva visto in precedenza costruite dagli esperti.
Un bambino di dieci anni si divertiva a osservare il proprio padre che svolgeva l’attività di orafo e orologiaio e ne imitava le gesta.
Questo bimbo era Roberto Mele, orafo e orologiaio, che fin da piccolo ha coltivato questa passione, iniziando dalle piccole cose, come, per esempio, smontare le sveglie e gli orologi. L’amore per questo lavoro artigianale non l’ha mai abbandonato. Precedentemente, ha svolto altri mestieri; ma, con il passare del tempo, il cuore l’ha spinto verso il mondo dell’orologeria e dell’oreficeria. Il padre, suo maestro, è stato uno dei veterani del settore nella città di Cagliari. Aveva frequentato un corso di micromeccanica in Algeria e, durante la Guerra, nel periodo in cui era stato prigioniero, aveva imparato questo genere di arte, nonché altri talenti, quali la costruzione del mandolino. Tra un prigioniero e l’altro si era creato uno scambio di abilità, tecniche ed esperienze.
La scuola più adatta per un ragazzo che segue un dato percorso di studi e vuole intraprendere una determinata carriera è certamente la propria famiglia. Se il giovane ha l’opportunità di avere un padre o un nonno che lavora nel medesimo settore in cui egli stesso si è specializzato, è importante che colga la palla al balzo. Chi più di un famigliare può avere interesse per il futuro di un figlio o di un nipote? Chi più di un parente conosce i desideri, i sacrifici e gli obiettivi di quel giovane?
Andrea Farci, ceramista asseminese, ha seguito le orme del padre Giuseppe, che, a sua volta, precedentemente, aveva iniziato a lavorare insieme ai suoi fratelli, Gianfranco e Gaetano, presso il laboratorio di ceramica del padre Vincenzo. Il nipote appartiene alla terza generazione della nota famiglia di ceramisti di Assemini. Terminati gli studi presso il Liceo Artistico di Cagliari, la bottega del nonno è diventata la sua casa. Ha frequentato le lezioni impartite dai suoi predecessori e ha tenuto sempre viva l’attività della famiglia.
Il nonno Vincenzo ha cominciato a lavorare nel settore della ceramica quando era molto giovane. Ha imparato i trucchi del mestiere nella scuola di un noto ceramista, originario di Bosa, vissuto tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Successivamente, ha proseguito presso il laboratorio di un altro importante insegnante, originario di Cagliari e vissuto fino alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso. Tra le tecniche apprese dal piccolo Vincenzo, c’era quella della lavorazione e della realizzazione di prodotti in ceramica mediante il "forno a muffola", grazie al quale si poteva decorare il prodotto "a caldo", sottoposto, in seguito, anche a un’ulteriore cottura.
Oltre ai classici articoli, quali vasi e piatti, Vincenzo Farci imparò a creare anche i cavallini che si trovano sopra i tetti delle case, analoghi a quelli presenti su numerose abitazioni delle zone di Assemini e Serramanna. Tali oggetti hanno valore di superstizione, perché simboleggiano l’allontanamento del malocchio, idea comune nelle tradizioni popolari.
In una terra, le cui ricchezze metallifere presenti nel sottosuolo, sono state sfruttate fin dall’epoca nuragica, non poteva non svilupparsi una proficua ed eccellente attività di lavorazione dei metalli non preziosi.
Tra i vari metalli non preziosi utilizzati dai sardi nuragici, vi era il ferro e il suo utilizzo ha dato vita, nel corso del tempo, a un mestiere tanto antico quanto duro e faticoso: quello del fabbro.
Questo nobilissimo mestiere giunge fino ai nostri tempi grazie alla perseveranza di uomini che spesso hanno tramandato, di generazione in generazione, l’antica tradizione di famiglia, adattandola incredibilmente alla modernità. Senza questa passione, oggi non ci sarebbero più i fabbri, artigiani energici e laboriosi che attraverso i colpi del martello sul ferro incandescente, sopra l’incudine, riescono a forgiare e a realizzare oggetti capaci ancora di stupire.
La siderurgia in Sardegna ha origini preistoriche. L’antichità della terra sarda, infatti, ha assicurato ai suoi abitanti una ricchezza di minerali estratti fin dai tempi più remoti.
Perciò, oggetti di metallo e quindi l’attività dei fabbri artigiani sono sempre stati appannaggio d’ogni paese, oltre al significato simbolico attribuito ad alcuni oggetti e in particolare, al coltello.
La “balentìa” (il valore, ossia una commistione di abilità, coraggio e saggezza) è immediatamente riconosciuta attraverso i coltelli a serramanico, sfoderati orgogliosamente per tagliare il pane, il formaggio oppure nella macellazione del maiale (una vera cerimonia, che coinvolge la famiglia e gli amici), delle pecore e gli agnelli o della cacciagione.
Gli artigiani più esperti e creativi sono quelli di Pattada (NU) e Guspini (CA) che realizzano opere davvero degne delle collezioni più raffinate.
Da ragazzo di bottega a orafo dalla particolare capacità di creare dei veri e propri gioielli, unici nella loro specie e apprezzati da molte persone. In tanti conoscono Bruno Busonera e hanno avuto l’onore di commissionare dei lavori eseguiti dalle sue mani d'artista. Dalla realizzazione di oggetti religiosi ed ecclesiastici agli accessori e ornamenti dei costumi dei gruppi folk provenienti da varie parti della Sardegna.
Bruno Busonera era un bambino di otto anni quando ha iniziato a conoscere l’arte orafa.
Giorno dopo giorno, il ragazzo di bottega, mentre osservava come si realizzavano i vari oggetti, ha iniziato ad appassionarsi e a prendere dimestichezza con il mestiere e, passo dopo passo, ha imparato a realizzare preziosi con le sue stesse mani. L’apprendista è diventato insegnante e, nel ’74, ha aperto la sua bottega, quel negozio tanto agognato, quel rifugio in cui si sentiva protetto e libero di esprimere la sua verve artistica, creando oggetti fatti da lui, dove era finalmente lui l’artista.
Il suo lavoro è concentrato in circa dieci ore, nell’arco della giornata. Dipende dall’oggetto, normalmente, per realizzare un gioiello, sono necessari circa due giorni. Ma, sicuramente, il risultato che si ottiene, dopo un lungo tempo di full immersion, è di totale precisione e maestria, di splendore e spettacolo, di bagliore e luminosità.
Carlo Budroni, all’età di 16 anni, non avrebbe mai apprezzato una stoffa; come tutti gli adolescenti, trascorreva il suo tempo tra giochi e robot. Crescendo, gli individui scoprono nuove passioni che non avrebbero mai pensato di avere e osservano il mondo con un occhio diverso. Oggi Carlo Budroni è un artista che dà vita a dei fedelissimi amici delle donne: borse e complementi d’arredo, utilizzando materiali e tessuti sardi. E una semplice forma geometrica, come un cerchio, può diventare il simbolo distintivo delle creazioni di un artista. In passato, a Milano, con un team di colleghi, si è dedicato a una rivista di tendenza sulle scarpe. Nello specifico, Carlo Budroni disegnava le tendenze delle calzature.
Perché il marchio "C+C"?
"C+C" nasce a Milano, dall’idea di disegnare abbigliamento, borse in feltro industriale e scarpe. Era il ’98 e "C+C" indicava i nomi di Carlo e Camille, la mia vecchia socia. Successivamente, il marchio è giunto in Sardegna , trasferendosi a Cagliari nel 2004 e dal 2007 il negozio si trova in Via San Domenico.
Nel 2009 è nata la collaborazione con Ludmilla. Ho frequentato l’Istituto Europeo di Design di Cagliari, proseguendo, successivamente, presso quello di Milano.
Quali oggetti realizza e quali tessuti utilizza?
Il desiderio era quello di realizzare borse in tessuto sardo, perché amo i tessuti grezzi, quali l’orbace e la lana. Creo borse e complementi d’arredo, utilizzando tessuti sardi provenienti da Samugheo. L’idea di usare tessuti sardi è legata all’interesse e al piacere di produrre qualcosa con quei materiali. Si tratta di una riscoperta culturale.
I suggerimenti e i desideri delle donne sono importanti e do vita ad altri prodotti anche sulla base degli oggetti che le signore vedono esposti nel negozio. Quando si tratta di un pezzo unico, però, la situazione è diversa: per esempio, una cliente ha portato una coperta risalente al 1940 e da quella ho creato una borsa. Un pezzo unico.
Uno dei doni della donna è lo stacanovismo. La donna è sempre attiva; riesce a compiere svariate attività; la stanchezza è messa in secondo piano. Sfortunatamente, spesso alla figura femminile non viene data l’opportunità di emergere e mostrare le proprie capacità. L’unico modo per essere qualcuno è dimostrarlo e combattere per ottenere questo diritto.
La Consulta delle Donne di Assemini è nata nel Dicembre del 1999, perché si è sentito il bisogno di garantire uno spazio dedicato alle donne, dal momento che nessuno ancora aveva pensato a tale questione. Non c’era la mentalità di inserire le figure femminili all’interno di gruppi già vigenti.
Le prime attività svolte dai membri dell’Associazione riguardavano balli, ginnastica e attività teatrali. L’esercizio sul palcoscenico è ancora presente: importante, infatti, un evento che si rinnova ogni anno, Luisiccu S’Arruxiadori, una commedia sarda in un atto, durante la quale l’argomento dominante varia per ogni spettacolo. Seguono i balli, durante la serata, in modo tale da accontentare sia coloro che sono in un’età avanzata, sia coloro che sono in giovane età.
Le attività fisiche, invece, si sono a mano a mano ridotte, a causa della mancanza di spazi adeguati. Spesso si propongono delle collaborazioni con le palestre, sia riguardo ad attività sportive che riguardo all’autodifesa. A volte, però, si tratta di semplici idee che trovano delle difficoltà nella loro piena realizzazione.
Sono tante le fasi storiche che hanno contraddistinto la nascita e lo sviluppo del coltello sardo. Gli utensili da taglio hanno un’origine antichissima in Sardegna.
Tuttavia è soltanto dopo gli anni cinquanta del secolo scorso che il coltello sardo ha avuto uno sviluppo importante. La sua riscoperta e l’apprezzamento per le tecniche manuali e tradizionali di lavorazione hanno avviato quel processo di trasformazione della domanda.
Da oggetto di uso quotidiano, il coltello ha acquisito sempre più i connotati di oggetto d’arte. Questo mutamento non solo ha elevato il coltello a elemento artistico, ormai entrato prepotentemente nella tradizione sarda, ma ha anche preservato dalla scomparsa la stessa mansione del coltellinaio.
Lama d’acciaio e manico in corno, soprattutto di montone e di muflone. Oggi l’artigianato dei coltelli ha raggiunto forme espressive di altissimo livello estetico.
Sono tanti i centri della Sardegna, dove la cultura de sa resolza o arresoja si è maggiormente sviluppata, anche se sono due i luoghi dove il tipico coltello a serramanico sardo si è maggiormente sviluppato. I principali e più famosi centri di produzione del coltello in Sardegna sono Pattada (SS) e Arbus (VS).
A Pattada ha origine la famosa pattadesa, coltello a serramanico con la lama a stiletto, e Arbus è il luogo dove è nata s’arburesa, che, invece, ha la lama a foglia larga.
Ai piedi del promontorio del monte Serpeddì, sorge Sinnai, il paese dei cestini di fieno e giunco. Qui l'arte dell'intreccio si unisce alla manualità di un'artista creativa, la cui passione per la lavorazione artigiana del giunco, dà vita a vere e proprie opere d'arte.
Alessandra Floris da vent'anni dedica la sua vita a creare "su strexiu de fenu", il corredo di cesti e setacci necessari per la preparazione del pane. Cestini lavorati col sol tocco di una mano esperta e ferma, capace di gestire e assecondare il naturale "filo da cucito" da lei stessa raccolto ed essiccato, quale è il giunco, quella particolare pianta dal significato etimologico di derivazione latina dal verbo jungere, cioè legare; usato, infatti, ab origine per la creazione di cesti e legacci.
Non esistono macchine da lavoro per la cestinaia tradizionale, ma solo un punteruolo tenuto tra il mignolo e l'anulare, finalizzato a coadiuvare la lavorazione della pianta erbacea, che lega a sé il fieno e consente la creazione del cestino secondo una modalità circolare che assecondi il naturale dispiegarsi del caratteristico filo da cucito. Infatti, ciò che contraddistingue l'artigiana sinnaese è la produzione propria del giunco, curato dalla coltura all'essicazione fino alla lavorazione per creare l'opera finale, quale è il cestino della tradizione sarda del suo paese.
Da sempre numerose aziende si affidano alla mano esperta di un rappresentante, un agente di commercio che rappresenta una figura fondamentale nella gestione della vendita dei prodotti. La sua funzione è quella di pubblicizzare la merce proposta dalla ditta a cui lui appartiene, ma, nello stesso tempo, deve essere abile nel captare anche ciò che il mercato richiede effettivamente, in modo tale da essere continuamente aggiornati. Non si può restare sempre ancorati al passato, perché i clienti desiderano oggetti sempre più attuali e conformi al presente.
Ignazia Mattana, ceramista di Assemini, ha scelto di percorrere questa strada: la vendita dei suoi prodotti è organizzata da un rappresentante, il cui ruolo è legato alla pubblicità e all’informazione. Si tratta di una figura con la quale si crea un rapporto di fiducia molto stabile, perché permette di ottenere successo e richiesta continua delle opere artigiane e artistiche di Ignazia Mattana. Attraverso studi e aggiornamenti, si può arrivare a un adeguamento perfetto con la domanda del cliente tipo.
Dalla tipologia di oggetti al genere di immagini da raffigurare, si riesce ad accontentare il mercato della ceramica. Dai pezzi classici che seguono il filone turistico, quali le donne sarde in costume, i vasi e i centritavola, si pensa di raggiungere anche le volontà di altre cerchie di acquirenti, arrivando così alla produzione della cosiddetta "oggettistica d’uso": manufatti creati per la cucina e per l’arredamento e persino targhe indicative dei numeri civici delle case.
Dalle immagini riguardanti la tipica pavoncella si opta per due strade parallele: la prima segue ugualmente la linea dell'uccellino simbolo di prosperità, apportando, però, delle modifiche e delle varietà dello stesso soggetto ogni anno - un’aggiunta, un cambiamento, un colore differente; la seconda segue una linea concernente una molteplicità di soggetti rappresentati, legati comunque all’Isola, come il corallo o altri generi di animali oltre la pavoncella.
L’arte dell’intreccio è un’arte antichissima che affonda le radici nella preistoria sarda e che ha sempre rappresentato per l’uomo un’attività molto importante.
In tutto il territorio sardo non mancano le materie prime che sono alla base dei lavori d’intreccio. Da questo punto di vista la zona dell’oristanese è l'area della Sardegna più importante e rilevante per quanto concerne la lavorazione e la creazione dei cestini tradizionali.
A ridosso degli stagni crescono infatti le piante palustri che forniscono le materie basilari per la lavorazione dei cesti e dei canestri.
La povertà delle case dei pastori e dei contadini sardi, nei secoli e nei decenni scorsi, veniva smorzata da tutta una serie di oggetti artigianali appesi alle pareti che compensavano la scarsa presenza di arredi. Da questo punto di vista il cesto aveva una valenza ancora più significativa. Produrli non costava nulla ed erano il frutto dell’abilità delle giovani donne che intrecciavano con sapienza il giunco, la canna, il salice e tante altre piante, per dare vita a un campionario sublime di oggetti che erano alla base dell’antico corredo agro-pastorale.
"La notte porta consiglio" e gli artisti, prima di addormentarsi, riflettono e fantasticano riguardo alle loro prossime creazioni. Il giorno si trascorre realizzando; ma la notte si trascorre pensando e immaginando quale sarà la prossima opera d’arte e quale disegno sarà raffigurato. L’arte della ceramica realizzata da Doriana Usai segue un iter giornaliero particolare che rende ogni singolo momento unico e magico.
Come spesso capita, in un nucleo famigliare composto da artisti, anche i figli iniziano a interessarsi di quel determinato settore e lo fanno proprio, senza alcun obbligo. L’arte si tramanda da padre a figlio, ma se non è attiva la passione, non c’è la possibilità di ottenere dei risultati eccellenti.
Esiste un filo molto sottile tra passione e lavoro. Un lavoro appartenente al settore artistico non può essere considerato un "lavoro paracadute". Nonostante ormai molte persone svolgano determinati mestieri soltanto per sopravvivere, l’arte deve essere legata all’amore e alla capacità innata, non a un modo per poter vivere, perché se non si è abili nel realizzare un dato prodotto, non ha senso proseguire per quella strada.
Per Doriana Usai, ceramista di trentacinque anni, la famiglia e l’ambiente in cui è cresciuta sono stati due pilastri della sua vita. Crescendo e stando a contatto con questo mondo, ci si sensibilizza in certi modi. Nessuno ha obbligato la ragazza adolescente a seguire un determinato percorso professionale. Doriana si è sentita libera di scegliere di frequentare la scuola che più le piaceva.
La saggezza e la competenza di una famiglia, che vive dal 1854 nel mondo dell’arredamento, sono fattori determinanti per la produzione di mobili che possono durare nel tempo.
I legni migliori danno vita alla mobilia migliore. La capacità della famiglia Pili è di scegliere il legno più adatto per la realizzazione di un determinato mobile e per garantire a esso un’ottima conservazione e resistenza.
Dal bisnonno, al nonno, ai nipoti fino ad arrivare alla pronipote ventitreenne Anna, la famiglia Pili racchiude vari componenti che hanno intrapreso la strada dei mobili. L’arte del legno interessa un albero genealogico di 160 anni d’età.
Terminati gli studi presso l’Istituto Tecnico Industriale, la vita di Giuseppe Pili è cambiata completamente. È, infatti, nato e cresciuto nella falegnameria dei parenti e la sua è stata una scelta piuttosto che una passione. Già da bambino ha iniziato a vivere nella bottega e a conoscere man mano questo genere d'arte. Il profumo del legno, le sue particolarità, la sua lavorazione hanno permesso al piccolo Giuseppe di vivere un’esperienza unica, fatta di curiosità, passione e massima creatività. La decisione di lavorare come falegname è stata automatica, a causa del fatto che ha vissuto una vita intera tra "artisti del legno".
Talmente si è abituato a questo tipo di vita che entrare a far parte di questo mondo è stata una conseguenza logica. La dedizione e l’entusiasmo sono affiorati nel giro di poco tempo e la bravura di Giuseppe si è mostrata velocemente, creando stupore anche per lui stesso, considerando che, inizialmente, il suo percorso di studi era differente.
Nel 2011 è stata la volta della figlia Anna. Conseguito il diploma presso l’Istituto Magistrale, ha capito che il suo futuro era un altro e ha trovato la risposta nella bottega dove lavora suo padre. Attraverso l’esperienza e la lezione paterna, è riuscita a intensificare la passione e l’orgoglio di svolgere tale mestiere.
Dal timore iniziale c’è stato un successivo passaggio verso l’ammirazione e la foga.
Anna ha sentito un forte trasporto verso quest’attività, tanto da imparare in fretta terminologia, utilizzo degli strumenti e impiego delle tecniche. Nonostante la sua giovane età, è riuscita a dimostrare la sua abilità apportando anche un tocco di novità, mediante aggiornamenti riguardanti mobili moderni e suggerimenti concernenti la disposizione dei mobili seguendo uno stile particolare e un’affinità precisa.
In una terra che della propria storia trova ogni giorno nuove sfumature narrative, artistiche, scientifiche, l’abbigliamento tradizionale sardo ha ancora molto da raccontare, perché delle sue forme molteplici e complesse, che hanno attraversato per secoli l’isola come fosse un continente, nessuno è ancora riuscito ad incasellarne a fondo le fonti ispiratrici.
Un po’ come se corittu (corpetto) e ragas (gonnellino del costume maschile) fosse rimasti imbrigliati in una rete di spunti religiosi, mitologici e intimi, che nell’intreccio lasciano lo spettatore – perché di spettacolo, realmente, si tratta –meravigliato e stupito, specie se ad indossare il prezioso vestiario è il profilo fiero, un po’ fenicio e bellissimo delle donne sarde.
Lo sanno bene Giuseppe Scalas e Maria Francesca Maniga, in arte Morisca e MFM, che hanno osservato questa immensa e variegata produzione tessile e hanno provato a trasformarla con un sapiente lavoro creativo di mescolanze di significati, nella migliore osservanza delle pratiche postmoderne di mix e rivalutazione di arti, segni e bellezze.
Le tradizioni di una nazione, a volte, sono legate alle particolarità artistiche più incredibili, quelle che non ci s’immaginerebbe mai che possano costituire parte del patrimonio "mentale" di una comunità. Sapere, infatti, che un coltello, comunemente appartenente all’ambiente maschile, possa diventare un oggetto molto apprezzato dal pubblico femminile, potrebbe suscitare meraviglia.
Ma la realtà è che una tale situazione può verificarsi in diversi Paesi, come la Francia, dove le donne sono le maggiori estimatrici di coltelli e diffondono la cultura anche alle proprie figlie. Girando per il mondo e diffondendo la propria arte, Efisio Casula, creatore di coltelli, ha avuto la possibilità di conoscere realtà sociali a cui non era abituato.
Nato con una capacità personale e cresciuto con una straordinaria passione per l’arte dei coltelli, all’età di tredici anni, Efisio Casula è riuscito ad acquistare il suo primo coltello.
Si trattava di un oggetto fatto a mano, di 8 cm e costruito con corno di bue. Il prezzo del coltello, 35000 lire, era indice di totale risparmio e sacrificio da parte di un fanciullo che desiderava talmente tanto quell’oggetto da conservare giorno dopo giorno un quantitativo di denaro tale da comprare un prodotto che, in futuro, avrebbe rappresentato il cuore del suo lavoro. Col trascorrere del tempo, ha iniziato a costruire dei pugnali per simulare i combattimenti in palestra, per le esercitazioni di arti marziali.
Mano a mano che gli anni passavano, e diventava un adolescente e un ragazzo maturo, la decisione finale che il suo passatempo si sarebbe trasformato in mestiere a tutti gli effetti l’ha condotto verso la curiosità per le altre arti e verso la consapevolezza che era importante imparare ogni attività artistica per accrescere il proprio bagaglio culturale e professionale. Intanto, la sua vita trascorreva tra soddisfazioni e raggiungimenti di obiettivi. I clienti aumentavano sempre di più e tante persone incominciavano ad apprezzare i suoi lavori, spargendo la voce e facendo accorrere sempre più acquirenti. Anche gli errori hanno rappresentato una lezione di vita e il confronto con gli altri artigiani gli è stato utile per aggiornarsi e migliorare.